di Enrico Marro All’inizio di maggio avevano fatto scalpore le oltre 50 mila domande piovute sul concorso per 178 impiegati al Comune di Milano, dove al massimo se ne aspettavano 35 mila. Ieri è toccato a Genova, con le 12 mila richieste di partecipazione per aggiudicarsi uno dei 300 posti in palio da infermiere nelle Asl liguri. Ma se si scende di livello, prendendo in considerazione i piccoli Comuni e considerando che in Italia ci sono più di ottomila municipi, è facile constatare che ogni anno, nonostante il parziale blocco del turnover nel pubblico impiego, i concorsi banditi siano una valanga. Spesso per pochissime posizioni, talvolta una sola. «Nel periodo 2001-2015 — secondo un paper della Banca d’Italia — Regioni ed enti locali hanno bandito quasi 19 mila concorsi per assunzioni a tempo indeterminato, con una media di nemmeno due posizioni disponibili a concorso». Insomma, una marea di micro bandi, con tutto quello che ne consegue in termini di risorse economiche e organizzative sprecate. Senza contare che dal 2012 al 2016 ci sono stati ben 10 mila ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato per irregolarità varie.
Basta andare sulla home del sito www.concorsipubblici.com per vedere che sono pendenti, per esempio, un concorso per un revisore legale nell’Azienda di servizi alla persona di San Colombano al Lambro (Milano) oppure per tre ostetriche all’azienda ospedaliera di Cagliari o per due pediatri a Varese. Ci sono poi una serie di maxi concorsi nazionali, quasi tutti nelle forze dell’ordine.
Per cercare di mettere ordine nel caos dei concorsi, uno dei decreti attuativi della riforma Madia, il numero 75 del 25 maggio scorso, detta una serie di norme per passare dal sistema attuale, dove ogni amministrazione si fa il proprio concorsino, a dei concorsoni unici nazionali basati sui fabbisogni triennali (il primo per il 2018-20). Solo che queste regole valgono esclusivamente per le amministrazioni centrali, cioè ministeri, agenzie fiscali, Inps e Inail (escluse forze armate e di polizia e la scuola), dove quindi dovrebbe esserci una graduale razionalizzazione dei concorsi, mentre per estendere la riforma alle amministrazioni regionali e locali sarebbe necessaria un’intesa del governo con le stesse.
Per ora, quindi, limitiamoci alle amministrazioni centrali. Il decreto 75 prevede che, entro 90 giorni, cioè prima di settembre, il ministero emani una direttiva con le linee guida per i concorsoni unici. Solo le amministrazioni che comunicheranno i propri fabbisogni potranno partecipare ai bandi unici e quindi assumere. Cosa cambierà? Proviamo a spiegarlo con un esempio. Se oggi, poniamo, il ministero dei Trasporti ha necessità di assumere tre informatici, bandisce un concorso ad hoc. Con la riforma invece l’esigenza di questo ministero si sommerà a quelle delle altre amministrazioni centrali e verrà indetto un concorso unico, mettiamo per un totale di 46 informatici, che verranno poi assorbiti negli uffici che li hanno richiesti.
La riforma prevede anche corsie preferenziali per l’assunzione dei precari e dei vincitori e idonei dei vecchi concorsi. Chi ha prestato servizio per almeno tre anni negli ultimi otto con un contratto a termine o di collaborazione potrà partecipare a concorsi con il 50% dei posti riservato.
Novità importante, i nuovi concorsi prevederanno sempre, per qualunque posizione, l’accertamento della conoscenza dell’inglese e dell’informatica di base. E i fabbisogni saranno determinati non più sulle vecchie piante organiche (va in pensione un geometra si assume un geometra) ma sui profili effettivamente necessari. Anche perché, come si legge nel paper di Bankitalia, finora i concorsi pubblici «non sembrano favorire l’ingresso dei candidati migliori e con il profilo più indicato». Se tutto andrà bene, nel 2018 potrebbe arrivare il primo concorsone, per i dirigenti dei ministeri. Ma una vera svolta sarà possibile solo con l’estensione del sistema a Regioni e Comuni.
IL Corriere della Sera – 12 luglio 2017