In questi giorni il Senato inizia l’esame della cosiddetta «spending review», la riduzione, cioè, della spesa pubblica nei vari settori, decisa con l’ultimo decreto del governo Monti.
Sindacati, regioni, Province e Comuni hanno già iniziato a protestare. Alcune volte a ragion veduta, altre con qualche ragione in meno. Diciamo subito che i tagli decisi non sortiranno, in termini finanziari, gli effetti desiderati e in alcuni casi la spesa pubblica di qualche settore rischia addirittura di aumentare. Vediamo innanzitutto la questione dei dipendenti pubblici che in questi anni si sono già ridotti di 150 mila unità. Dal calcolo contenuto nel decreto, gli esuberi sarebbero per i ministeri 5.600 unità, per gli altri enti pubblici 5.400 unità e per gli enti territoriali 13 mila circa. Nel complesso 24 mila esuberi che verrebbero messi in pensionamento anticipato in deroga alla riforma Fornero. Senza scendere in dettaglio, gli effetti finanziari di queste norme, tra prepensionamenti e liquidazioni, sarebbero, zero per il 2012, un aggravio di spesa di 172 milioni nel 2013, un risparmio di 114 milioni nel 2014, di 29 milioni ne12015 e 2016 e zero ne12017.
Molto poco si può dire, ma sempre meglio di niente. E invece non è così. Da questo calcolo, infatti, non viene valutato il costo complessivo che arriva dall’inefficienza di una serie di settori in molti dei quali la fonte primaria è la grave carenza di organici che determinerà anche assunzione di precari in attività sensibili (vigili del fuoco, carabinieri, poliziotti e guardia di finanza, tribunali e carceri). Il tutto per ottenere un aggravio di spesa di ben 172 milioni nel 2013. Anno del mitico pareggio di bilancio.
C’è un’alternativa. Invece di arrivare a prepensionare dipendenti pubblici contraddicendo così una riforma delle pensioni approvata appena qualche mese fa, sarebbe più utile, in termini di finanza pubblica di efficacia dell’azione amministrativa, distribuire il personale in esubero verso i settori carenti. In questo modo si otterrebbero risultati positivi sia sul terreno finanziario evitando di prepensionare e di assumere altro personale, sia di efficienza e di efficacia.
Quel che non entra nella testa dei partiti e del governo è che il personale pubblico può essere ridotto solo se si riducono le funzioni dello Stato. Ad esempio l’Italia non è più in condizioni finanziarie di mantenere oltre 180mila militari che vanno ridotti non del 10% come dice il decreto, ma di almeno il 30, distribuendo il personale verso amministrazioni «cugine» (polizia, carabinieri, guardia di finanza, polizia penitenziaria) naturalmente con compiti prevalentemente amministrativi.
Alla stessa maniera vanno subito eliminate gran parte delle nostre missioni militari all’estero che costano oltre un miliardo l’anno. I nostri impegni internazionali, infatti, non possono che essere ridotti considerando che paesi dell’alleanza atlantica in condizioni finanziarie di gran lunga migliori delle nostre non partecipano a molte missioni di pace a cominciare dagli amici tedeschi.
L’alternativa, dunque, c’è e con effetti di risparmio indotti notevolissimi, ma per praticarla ci sarebbe bisogno di una classe dirigente con forte responsabilità nazionale sapendo che troveremmo la comprensione anche dei nostri alleati europei e atlantici.
Le stesse considerazioni possono essere fatte per la sanità. Se è comprensibile e saggio ricondurre a parametri certi il costo di acquisto di beni e servizi potenziando la Consip e l’osservatorio sui prezzi, ci sembra fuor d’opera il meccanismo di sconti richiesti alle farmacie e alle industrie per due motivi. Nel calcolo del risparmio nella relazione tecnica non si tiene conto della riduzione di gettito tributario dei vari soggetti cui si chiede lo sconto (se alle farmacie vengono ridotti ricavi per 90 milioni anche il loro gettito fiscale si ridurrà del 40% e così per l’industria farmaceutica) mentre sarebbe più facile rivedere il prezzo dei farmaci rimborsabili dal servizio sanitario nazionale eliminando anche una parte di essi i cui brevetti sono scaduti inserendo, così, farmaci equivalenti a più basso costo. E’necessario, poi, fare degli ospedali delle aziende che lavorino 12 ore al giorno (i pronto soccorso lavorano naturalmente 24 ore su 24) elevando in tal modo il tasso di produttività concentrando personale medico e non medico negli ospedali funzionanti. Anche in questo caso accoppieremmo risparmio per l’abbattimento dei costi fissi ed efficienza perla rapidità di diagnosi e cura. Alla preoccupazione di tanti va data una risposta seria incrementando la presenza di ambulanze rianimatrici in tutti i territori lontani dagli ospedali funzionanti.
Purtroppo saremo ancora una volta inascoltati come lo fummo dal precedente governo che aveva tagliato alle amministrazioni centrali dello Stato 15 miliardi di euro in 3 anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È davvero il caso di dire «usque tandem abutere patientiam nostram».
Il Tempo – 13 luglio 2012