Repubblica. Continua la guerra di cifre sulle pensioni. Nel mirino finiscono le stime, come quelle dell’Ufficio parlamentare di bilancio, sugli assegni decurtati a quanti sceglieranno quota 100, per via dei minori contributi versati. Ma anche gli stanziamenti per la misura simbolo del governo del cambiamento. Il leader della Lega Matteo Salvini ripete che «non ci saranno né tagli né penalizzazioni». Mentre il presidente Inps Tito Boeri osserva che «mancano le risorse aggiuntive per il 2020 e 2021 rispetto al primo anno».
Il riferimento è ai 7 miliardi circa stanziati in manovra per ciascun anno del triennio 2019-2021.
Eppure, «secondo tutte le nostre simulazioni — segnala Boeri — la misura costa in alcuni casi un terzo in più e in altri casi addirittura due volte in più rispetto al primo anno». Quota 100 — la possibilità di anticipare l’uscita con almeno 62 anni di età e almeno 38 di contributi — sarebbe dunque finanziata solo per il prossimo anno? Sarebbe cioè una misura sperimentale, come pure scriveva Moody’s nel suo report quando ha tagliato il rating dell’Italia a Baa3 (da Baa2) con outlook stabile, lo scorso 19 ottobre? E come più volte ripetuto dalla viceministra all’Economia pentastellata Laura Castelli?
«Assolutamente no», risponde il sottosegretario leghista al Lavoro Claudio Durigon, con delega alla previdenza. «Le misure sono sufficienti, la misura è strutturale. Dal 2019 in avanti gli italiani avranno una possibilità in più per anticipare la pensione, secondo un meccanismo di finestre mobili che stiamo studiando. Boeri dovrebbe occuparsi di Inps. Se vuole fare politica, si dimetta».
Dimissioni evocate — e non è la prima volta — anche dal vicepremier Salvini. Polemiche politiche a parte, un testo ancora non c’è. Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio dice che arriverà dopo l’approvazione della legge di Bilancio, non prima di metà dicembre. E sarà un decreto legge per far partire quota 100 a febbraio, reddito e pensioni di cittadinanza a marzo. Senza norme, ogni simulazione è attaccabile. Per ora sulla graticola dei leghisti è finita quella dell’Upb, laddove l’authority indipendente dei conti pubblici calcola che i “quotisti” rinuncerebbero dal 5 al 34% dell’assegno lordo, se decidessero di uscire da 1 a 6 anni prima dei requisiti Fornero, per via dei minori contributi versati.
La stessa Upb segnala però che il taglio sarebbe addolcito — toccando un massimo dell’8,69% — se si considerano nel calcolo gli anni aggiuntivi di pensione incassati dal “quotista”. Insomma, si prende un assegno più basso, ma per più tempo. Prospettive ribaltate da uno studio appena uscito di Itinerari Previdenziali. E firmato, tra gli altri, da Alberto Brambilla, esperto di pensioni vicino a Salvini.
Nell’esempio, un lavoratore dipendente classe 1957 che decide di anticipare nel 2019 la pensione (tutta calcolata col metodo retributivo) di 5 anni e 9 mesi, a 62 anni con 38 di contributi: quota 100 pura. Il suo assegno netto (non lordo) mensile scenderà del 22,7%: avrebbe preso 20.397 euro all’anno, ne percepirà 16.616 euro perché verserà 5 anni e 9 mesi in meno di contributi (circa 40 mila euro). Però incasserà la pensione per più anni. Alla fine metterà in tasca 407 mila euro anziché 343 mila, il 18,9% in più. E questo vantaggio, secondo Brambilla, sarebbe verificato in tutti i casi di quota 100, a prescindere dai mesi di anticipo. Anche in quello di un lavoratore dipendente con le stesse caratteristiche del precedente, ma con una pensione calcolata con il sistema misto, seppur in prevalenza contributivo. A fronte di una perdita dell’assegno più forte — il 27%, perché i mancati contributi pesano di più, in questo metodo — il vantaggio sarebbe comunque del 16%. E questo perché, anticipando la pensione, si darebbe più peso alla componente retributiva.
Senza considerare poi, conclude lo studio, l’impatto fiscale. Se la pensione lorda si abbassa, ci paghi meno tasse.