Il record lo detiene il Comune di Ascoli che di burocrazia spende il 96,5% in più di quel che sarebbe necessario, dilapidando oltre 7 milioni, che per il suo bilancio non sono poca cosa. Poi viene Siena, che per l’amministrazione sperpera l’82,8% più di quello che al ministero dell’Economia ritengono il giusto livello di spesa. Certo, se si ragiona in valori assoluti le percentuali di sprechi portano in vetta alla classifica Napoli con 118 milioni e mezzo, seguita da Roma (63,4) e Firenze (14 milioni).
Se poi si prende la lente di ingrandimento per andare a vedere i singoli servizi si scopre che c’è il Comune dove per la polizia locale si spendono 250 euro a cittadino, mentre sotto un altro campanile gli stessi livelli di sicurezza vengono garantiti con soli 7 euro. Sono le spese pazze di Comuni e Province d’Italia mappate dalla Copaff, la commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale istituita presso il ministero dell’Economia. Un lavoro certosino, avviato tre anni fa e che promette di aggredire 40 miliardi di spesa degli enti locali con l’obiettivo di risparmiarne a partire dal 2015 almeno 4. Per poi eliminare ancora più sprechi nei due anni successivi, quando la ricognizione sarà estesa a regioni e ministeri.
Ma per carità non chiamatela spending review. La parola magica ora è «fabbisogni standard», ossia individuare per ciascuna funzione amministrativa il giusto livello di spesa, che poi si confronta con quella effettivamente sostenuta. Chi è sopra il fabbisogno standard dovrà tagliare. Un lavoro minuzioso che per quanto riguarda i Comuni la commissione ha già ultimato per la polizia locale e le funzioni amministrative generali. Cose come anagrafe, riscossione tributi o servizi elettorali. Entro l’anno verranno poi aggredite le spese per istruzione, servizi sociali, ambiente e territorio. Per le Province i fabbisogni standard in base ai quali tagliare le spese in eccesso sono già stati individuati per istruzione, gestione del territorio e funzioni amministrative varie, mentre in rampa di lancio ci sono: servizi di collocamento, tutela ambientale, trasporti e gestione del territorio. Fuori restano Comuni e Province delle regioni a statuto speciale. Nel 2014 poi passeranno al setaccio le spese di ministeri e regioni. Un piatto ricco che con la mappa delle spese comunali e provinciali fuori controllo potrà intanto essere servito come antipasto al neo-commissario per la spending review, Carlo Cottarelli. Anche perché il governo non disdegnerebbe iscrivere già qualche somma importante alla voce «tagli di spesa» nel 2015 per disinnescare quella clausola di salvaguardia della legge di stabilità che senza risparmi obbliga ad aumenti di imposta fino a 10 miliardi nel triennio.
Ma i fabbisogni standard non serviranno solo a tagliare. Quando si spende meno e i tributi locali non bastano a quel punto si potrebbero vantare diritti in sede di perequazione dei finanziamenti. Insomma, punire chi sperpera ma anche aiutare chi le risorse le impiega bene ma non ce la fa. E in effetti la prima mappatura dei fabbisogni standard mostra un quadro più che mai variegato e che, a sorpresa, vede spesso le Province più popolose del Centro-Sud spendere meno del necessario. Soprattutto per istruzione e gestione del territorio, dove sotto i fabbisogni standard sono le provincie di Perugia (-103,3% per l’istruzione e –27,7% per la gestione del territorio), Roma (rispettivamente -13,2 e – 0,5%), Napoli (-4,2 e – 30,8%), Bari ( -15,9% per l’istruzione ma +2,6 di spesa per il territorio) e Reggio Calabria (-88,8 e -114%). Anche se i tecnici spiegano che spesso dietro livelli troppo bassi di spesa non c’è efficienza ma offerta «mini» di servizi. Magari perché i soldi servono a pagare gli alti interessi sul debito dei municipi in profondo rosso.
Tra i Comuni che spendono di più ci sono la dissestata Alessandria (+37,6%), Napoli (+34,3%), Firenze e Perugia, rispettivamente con +14 e +15,4%. Più sparagnine sono invece Bari (-66,9%) e Torino (-58,5%). Mediamente però i maggiori eccessi di spesa si trovano nei piccoli Comuni con meno di cinquemila abitanti e nelle città con più di mezzo milione di residenti. Ma le grandi differenze anche tra municipi della stessa grandezza dicono che la dimensione ideale dell’efficienza è solo quella della buona amministrazione.
La Stampa – 29 ottobre 2013