I presidenti di commissione alla Camera, ma anche un ministro, un vice ministro e un sottosegretario. Un giro di poltrone che potrebbe arrivare questa settimana, ma che ancora presenta poche certezze per i nomi. Con una sorpresa possibile: Matteo Renzi potrebbe proporre un incarico di governo a Vasco Errani, reduce dall’assoluzione (con rinvio) in Cassazione dall’accusa di falso ideologico. Ma il rimpastino, a quanto sembra, potrebbe slittare a settembre.
Il rinnovo dei vertici delle Commissioni, previsto a metà legislatura, avverrà domani pomeriggio e vedrà almeno quattro avvicendamenti. I presidenti di Forza Italia, non essendo più forza di maggioranza, saranno sostituiti da quattro esponenti della maggioranza: è probabile che due siano del Pd, uno di Scelta Civica e uno di Ncd, anche se reclamano una poltrona anche i popolari per l’Italia di Lorenzo Dellai. A lasciare il posto saranno Francesco Paolo Sisto, prima commissione: tra i papabili, Emanuele Fiano (che pure aspira a correre per il Comune di Milano) o Matteo Richetti; Elio Vito, alla Difesa, sarà sostituito da un centrista o da Francesco Saverio Garofani (Pd); Daniele Capezzone, Finanze, potrebbe essere rimpiazzato da Maurizio Bernardo (Ncd), Silvia Fregolent (pd, renziana) o Marco Causi (Pd); infine, Giancarlo Galan, agli arresti domiciliari, che potrebbe essere sostituito dalla renziana Flaminia Piccoli Nardelli o da Maria Coscia (Pd). Resteranno al loro posto, invece, gli esponenti della minoranza pd, da Guglielmo Epifani a Cesare Damiano a Francesco Boccia: Renzi non vuole aprire altri fronti polemici.
Per quanto riguarda il rimpastino, non tutti i nomi sono nella casella giusta e il premier proprio domani dovrà partire per Israele: dunque, le nomine potrebbero slittare a di qualche settimana. C’è da sostituire il ministro degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta: il nome più probabile è quello di Gaetano Quagliariello, ma si fa sotto anche Dorina Bianchi e, come outsider, c’è Rosanna Scopelliti, apprezzata e in ascesa. Il posto da viceministro agli Esteri, lasciato libero da Lapo Pistelli, passato all’Eni, potrebbe finire a Enzo Amendola (Pd). Poi c’è la poltrona di sottosegretario allo Sviluppo economico, lasciata da Claudio De Vincenti, approdato a Palazzo Chigi: in corsa un esponente di Scelta Civica (il segretario Enrico Zanetti giura di non voler essere lui). Infine, c’è la possibilità che venga premiata la schermitrice Valentina Vezzali (Scelta Civica), con un ministero dello Sport ad hoc oppure con un posto da sottosegretario, con delega allo Sport.
Il retroscena. Il gioco a incastri del leader. E il referendum sul Senato si sposta a ottobre del 2016
Matteo Renzi non sembra impensierirsi troppo delle accuse che gli vengono lanciate dalla sinistra o dalla minoranza interna di voler «imitare» Berlusconi sulle tasse. «Me le aspettavo — spiega ai collaboratori — ma io quello che prometto mantengo. Del resto anche quando feci l’annuncio degli 80 euro dissero che era una trovata propagandistica».
Insomma, il premier fa spallucce e si prepara a chiedere spazi alla Ue, in ottobre, per andare avanti con il suo progetto, senza toccare il vincolo del tre per cento. Ieri con Padoan ha già lavorato ai primi tagli. Dalla spending review, nel 2016 arriveranno 3,4 miliardi. E con l’approvazione del ddl Madia sulla Pubblica Amministrazione partirà l’operazione smaltimento delle municipalizzate che passeranno da ottomila a mille.
Questa operazione, il premier l’ha studiata nei minimi dettagli e non intende rinunciarvi. Ai primi di luglio ha rotto gli indugi. «Ho una strategia perfetta», ha confidato ai fedelissimi. E il sette luglio, quando ha fatto convocare da Orfini l’Assemblea nazionale, aveva già deciso di rendere pubblica la sua campagna sulle tasse. L’undici, però, il Foglio ne ha anticipato una parte. Quella riguardante la prima casa di proprietà. E da palazzo Chigi è arrivata la smentita. Non era opportuno anticipare «la strategia perfetta». Anche perché nemmeno i più fedeli alleati erano ancora a conoscenza della sua idea.
Sempre ai primi di luglio, Renzi rallentava sulle riforme costituzionali. Una decisione, quella, che era apparsa bizzarra. Ma il premier aveva le sue buone ragioni. I numeri non erano sicuri al cento per cento e si rischiava una lite continua con la minoranza proprio nel periodo delle feste dell’Unità. Renzi sa bene quanto il popolo del Partito democratico non sopporti le divisioni nel Pd.
E poi c’era un altro buon motivo. Anzi ottimo. Era veramente opportuno accelerare per ottenere, come all’inizio aveva pur pensato, l’abbinata amministrative-referendum confermativo sul ddl Boschi? Forse no. Perché quell’iniziativa referendaria da un punto di forza poteva trasformarsi in un boomerang. Contro il referendum infatti si sarebbe potuta saldare un sorta di Santa Alleanza che andava da Beppe Grillo a Silvio Berlusconi, passando per Matteo Salvini, Sel e la minoranza interna del Pd. Uno schieramento alquanto esteso. E questo avrebbe potuto nuocere al risultato elettorale.
Meglio giocare sul tavolo della politica e delle amministrative la fiche dell’abolizione della tassa sulla prima casa. E rinviare l’iniziativa referendaria all’ottobre del 2016. A quel punto, forte del consenso degli italiani sul suo piano anti-tasse, Renzi sì che si potrà permettere anche un referendum che, di fatto, sarà un referendum pro o contro di lui. L’Europa non cambierà certo idea sulla serietà dell’Italia nel fare le riforme se il ddl costituzionale tarderà un po’, mentre guarda con molto più interesse all’approvazione del ddl Madia.
Dalle grandi strategie a quelle più interne al partito. Nella riunione del parlamentino pd, sotto il naso della minoranza, sono passate due modifiche di non poco conto. Primo, il segretario può commissariare o revocare gli organi dirigenti locali. Secondo, per la prima volta è prevista chiaramente, nero su bianco, come sanzione disciplinare, l’espulsione dal partito.
IL Corriere della Sera – 20 luglio 2015