Ai fini del redditometro c’è cavallo e cavallo. Quelli da corsa e da equitazione rilevano sulla base dei valori tabellari individuati nei decreti ministeriali, mentre per quelli da passeggio o da affezione gli uffici devono prescindere da tali valori e individuare il costo di mantenimento dell’animale.
Sono queste, in estrema sintesi, le motivazioni con le quali la commissione tributaria provinciale di Asti (sez. II, sentenza n. 6/2/12 del 30 gennaio 2012) ha accolto il ricorso di un contribuente che aveva contestato le presunzioni redditometriche adottate dall’ufficio delle Entrate per due cavalli dallo stesso detenuti a scopo di «affezione».
Per i giudici bisogna spiegare cosa si intende per cavalli da equitazione: «poiché è palese che per equitazione debba intendersi quell’attività sportiva che postula l’impiego professionale di cavalli di valore, onerosi sia da acquistare sia da mantenere, trasportare e addestrare. Poiché dalla documentazione in atti», continuano i giudici astigiani, «emerge che i cavalli di cui trattasi sono due fattrici, è evidente che gli stessi vanno considerati come cavalli da passeggiata e/o da affezione e non come cavalli da equitazione».
Del resto l’utilizzo e la tipologia di cavallo è facilmente identificabile grazie alla consultazione dell’anagrafe equina istituita tramite la legge n. 200 del 1° agosto 2003. Da tale banca dati è possibile in ogni momento avere contezza dell’età dell’animale, del suo albero genealogico, del suo attuale proprietario, della sua destinazione (fattrice, da equitazione, da corsa). In presenza di situazioni quali quella sopra descritta nella quale il contribuente risultava proprietario di due cavalli detenuti a titolo d’affezione e quindi non per scopo di lucro, l’ufficio deve abbandonare i riferimenti reddituali individuati dai coefficienti tabellari del redditometro e rideterminare, in via presuntiva, i costi sostenuti per il mantenimento degli animali.
Un tale modus operandi era già stato raccomandato agli uffici dalla circolare n. 27 del 14 agosto 1981 dell’allora ministero delle finanze, nella quale si sancisce il principio per cui l’Ufficio, ai fini della valutazione sintetica, dovrà prescindere dai valori tabellari individuati dai decreti ministeriali, poiché nella pratica si possono verificare molteplici diverse situazioni, per cui gli uffici valuteranno, di volta in volta, le presumibili spese sostenute dal contribuente utilizzando le stesse quale parametro di calcolo del reddito sinteticamente accertabile. La sentenza citata conferma ancora una volta che i parametri individuati nei decreti ministeriali non sono la «verità assoluta». Sono solo indicazioni di massima valevoli soltanto nelle specifiche fattispecie dagli stessi individuati
ItaliaOggi – 25 aprile 2012