La recente sentenza della Corte di Cassazione che conferma la condanna di un ristoratore per la detenzione di astici e aragoste in un frigorifero con le chele legate, riporta all’attenzione del pubblico e degli esperti i problemi legati alla commercializzazione di prodotti ittici vivi. Restano infatti diffuse tra le popolazioni, seppur con una distribuzione diversa a seconda dei Paesi e delle aree geografiche, abitudini alimentari che prevedono l’acquisto di prodotti ittici vivi (quindi sicuramente freschi) e, in alcuni casi, la loro diretta cottura a garanzia della sicurezza e della qualità del prodotto. È uso comune, nelle città costiere, l’acquisto diretto di diverse specie di pesci ancora in vita presso i mercati di primo sbarco.
Alcune specie, grazie alla resistenza fuori dall’acqua ed alla rapidità dei trasporti, sono in grado di arrivare vive sui mercati, anche dopo voli intercontinentali. I crostacei (es. aragoste, astici, granchi, granseole, granciporri, cicale di mare, etc.) esposti vivi sul banco ai fini della vendita, a livello normativo, vengono considerati prodotti della pesca mantenuti vivi, e quindi già “alimento” e non più “animali”, ai sensi dell’art. 2, lettera b) del regolamento CE n. 178/2002 (“animali vivi … preparati per l’immissione sul mercato ai fini del consumo umano”).
Le indicazioni specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale previste dal Regolamento CE n. 853/2004 prevedono che durante lo stoccaggio e il trasporto, i prodotti della pesca mantenuti vivi “devono essere mantenuti a una temperatura e in condizioni che non pregiudichino la sicurezza alimentare o la loro vitalità” (All. III, sezione VIII, cap. VII, punto 3, del Regolamento CE n. 853/2004), mentre i prodotti della pesca freschi devono essere mantenuti a una “temperatura vicina a quella del ghiaccio in fusione” (cap. VII e VIII, punto 1, del Regolamento CE n. 853/2004).
Fatto salvo l’obiettivo generale “in materia di igiene per gli alimenti di origine animale”, sempre ai sensi del Regolamento CE n. 853/2004, gli operatori del settore alimentare devono inoltre rispettare i “requisiti relativi al benessere degli animali (…)”. Attualmente non esiste una normativa vigente che disciplini e garantisca il benessere dei prodotti della pesca mantenuti vivi. Il Regolamento CE n. 1099/2009 relativo alla “protezione degli animali durante l’abbattimento” non si applica agli animali invertebrati, e, per quanto riguarda i pesci, si applica soltanto in parte (articolo 3, paragrafo 1 “… durante l’abbattimento e le operazioni correlate sono risparmiati agli animali dolori, ansia o sofferenze evitabili”).
L’assenza di una posizione univoca da parte delle Autorità competenti lascia spazio a interpretazioni, basate su sensibilità o valutazioni scientifiche da parte di singoli che, oltre a creare condizioni diverse per le imprese, finiscono con l’orientare anche le sentenze sui singoli casi da parte dei Tribunali.
La Regione Piemonte nel 2004, con un provvedimento legato alle aree mercatali, aveva previsto la possibilità di esposizione su ghiaccio dei crostacei nelle fasi di vendita. Una recente revisione della letteratura da parte del Ceirsa, effettuata anche al fine di rispondere a richieste da parte dell’Autorità Giudiziaria, non ha consentito di evidenziare vantaggi significativi, rispetto agli obiettivi di garantire la sicurezza alimentare e il benessere animale, tra la esposizione su ghiaccio e l’impiego di acquari.
Sentenza di assoluzione Milano
Fonte Ceirsa – 22 gennaio 2017