L’interesse per la cucina etnica si è ormai ampiamente diffuso anche in Italia. La ragione sta non solo nell’aumento del numero di stranieri sul suolo italiano, ma anche in una curiosità crescente che le persone hanno verso il cibo e i prodotti degli “altri”. Se all’inizio, cioè negli anni ‘90, mangiare cibo etnico significava per lo più recarsi al ristorante cinese o in qualche fast food di matrice americana, oggi la cucina e l’alimentazione multiculturale sono diventate una vera e propria moda.
Un peso crescente nel cambiamento delle abitudini alimentari dello Stivale è dovuto sicuramente all’aumento della popolazione straniera che, secondo i dati Istat, negli ultimi dieci anni è triplicata. Si è passati da 1 milione e 300 mila stranieri presenti in Italia nel 2001, agli oltre 4 milioni del 2011, anno dell’ultimo censimento. L’affermarsi di una popolazione multi-etnica, accanto al fenomeno più generale di globalizzazione dei consumi, ha comportato l’affermarsi di un comportamento alimentare alternativo, collegato a una domanda che diventa sempre più orientata alle sperimentazioni culinarie extra-nazionali. Si è registrato così un aumento, soprattutto tra i più giovani del consumo di piatti come: sushi, cous cous, kebab, ma anche la bistecca algerina e il Jamon iberico.
La diffusione dei ristoranti etnici, tenendo conto che molte attività sono piccole e non censite, aveva registrato, secondo la Camera di Commercio, un aumento dell’80% già nel 2007 rispetto al 2000. Un altro dato è quello della Fondazione Leone Moressa che nel 2012 ne aveva contati quasi 50.000 (vedi approfondimento).
Analizzando le abitudini alimentari degli italiani proposti nel Rapporto Coop 2015 troviamo altri spunti interessanti. Accantonato l’intesse per i prodotti della tradizione, emerge il profilo di un consumatore attento a nuovi modelli che predilige in primis il cibo etnico, il cui consumo è aumentato del 18% rispetto all’anno precedente.
Non tutto l’etnico piace. Gli insetti ad esempio sono consumati all’estero ma in Italia non incontrano il favore del pubblico anche perché la commercializzazione è ancora complicata. Alcuni cibi etnici presentati in via straordanria all’Expo Milano 2015, come i ragni fritti o la carne di coccodrillo sono stati considerati da molti “eccessivi” e hanno riscontrato un ridotto livello di gradimento. Ciò che invece è entrato a pieno regime nelle simpatie degli italiani è la cucina giapponese, o piuttosto una versione occidentalizzata. Sshi e sashimi salgono ai primi posti tra i cibi etnici più graditi, e compaiono nei menu di numerosi ristoranti asiatici (anche se spesso sia il gestore che il personale sono cinesi). In aumento anche il consumo di nuovi prodotti, come la curcuma, l’agar agar, e la pitaya (o frutto del drago), sconosciuti fino a poco tempo fa ma resi celebri da siti come Almeglio.it e tanti altri. Ed è proprio in rete che gli italiani “reinventano” il gusto: nei risultati di Google Trends Italia 2015-2016, ai primi posti nella classifica delle ricerche troviamo: zenzero, curcuma, daikon (il rapanello cinese) e altri prodotti orientali, con una variazione percentuale, rispetto alle ricerche delle stesse parole effettuate nell’anno precedente, rispettivamente del 106% per lo zenzero, del 74% della curcuma e del 41% del daikon.
Alessia Baldassarre – Il Fatto alimentare – 22 gennaio 2017