È finita l’era dei forfait e delle parcelle compilate sommando le ore di consulenza, perché da oggi, secondo quanto prevede la manovra finanziaria, i professionisti saranno chiamati a pattuire per scritto l’ammontare del compenso d’accordo con il cliente e soprattutto al conferimento dell’incarico professionale.
A chiarire la nuova disciplina è l’articolo 3 della manovra bis che prevede, peraltro, la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe professionali. Insomma, dall’entrata in vigore della norma, medici e commercialisti, avvocati e ingegneri, architetti e notai dovranno mettersi d’accordo sui compensi prima dell’inizio dei lavori. La prassi è quella di una raccomandata con ricevuta di ritorno, firmata dalle parti, all’interno della quale sono indicate le condizioni generali della prestazione, le modalità di esecuzione e i corrispettivi. Ma questo è solo un piccolo passo verso la regolamentazione dei rapporti tra professionista e cliente, al quale Confindustria ha aggiunto nei giorni scorsi un ulteriore spunto di riflessione. Nel suo Manifesto per il rilancio del Paese, l’Associazione degli industriali chiede che sia reso obbligatorio anche il preventivo scritto, in modo da favorire la trasparenza e soprattutto la competizione nelle forniture a vantaggio dei clienti. La risposta delle professioni è pressoché univoca: si al compenso concordato, no al preventivo obbligatorio.
I primi a schierarsi su questa linea sono gli avvocati. «L’accordo tra professionista e cliente sul compenso c’è sempre stato – spiega Andrea Mascherin, Segretario del Consiglio Nazionale Forense – ma deve tenere conto delle tariffe di riferimento. L’assenza di tariffe, come vorrebbe Confindustria, permette al contraente forte (banche o grandi aziende) di fare pressing sul professionista, e non tanto su quelli affermati quanto sui più giovani».
«Per quanto riguarda il preventivo – continua Mascherin – il problema è culturale: un avvocato non è un piastrellista che può dire prima quanto costerà un lavoro; il costo dipende da tanti fattori dalle udienze, ai testimoni fino al numero delle memorie scritte)».
Sulla stessa linea il presidente dell’Oua (Organismo unitario dell’avvocatura), Maurizio De Tilla. «Va bene l’accordo tra le parti – dice De Tilla – ma che rispetti i livelli tariffari. Nessun preventivo invece può essere ipotizzabile per una causa giudiziaria dove i fattori di cambiamento sono molteplici. Ci vuole moderazione e un rapporto fiduciario con il cliente».
Contro la Confindustria si schierano anche i notai. «Gli industriali – attacca Gabriele Noto, consigliere nazionale del Notariato – vedono tutto con un approccio aziendalista e pensano che il problema del compenso e della compilazione di un preventivo possa essere risolto con un semplice calcolo sulla tariffa oraria. Per i professionisti la realtà è diversa, ogni caso è a se stante e noi dobbiamo essere trasparenti e spiegare al cittadino come sono strutturate le tariffe, senza cedere alla politica del massimo ribasso».
Di rischio giungla parla il presidente degli Ingegneri italiani. «La concorrenza – spiega Giovanni Rolando – sta raggiungendo livelli esagerati dove il ribasso assoluto è la parola d’ordine. Per questo stiamo collaborando con il ministero della Giustizia e con quello delle Infrastrutture al fine di adeguare le tariffe minime stabilite per gli ingegneri e oggi risalenti ad un decreto del 2001».
«L’accordo tra le due parti al momento della stipula del contratto – continua Rolando – è invece un fatto positivo perché, oltre a favorire la trasparenza, tutela sia il cliente che il professionista, anche di fronte a ipotetici contenziosi».
In realtà, quella che dovrebbe essere una grande novità per il mondo delle professioni, risulta per molti una prassi consolidata già da tempo. «Stabilire liberamente il compenso – commenta Domenico Posca, presidente dell’Unione italiana commercialisti da un lato può rischiare di deprimere il mercato sulla linea del massimo ribasso, ma dall’altro ci permette di prevedere anche premi legati al successo delle operazioni che mettiamo in piedi. Per quanto riguarda invece l’accordo scritto al momento della stipula del contratto, è comunque un elemento positivo anche dal punto di vista fiscale, perché mette al sicuro il professionista dagli accertamenti del Fisco».
Il ragionamento dei commercialisti è semplice: il compenso scritto permette al professionista di dimostrare al Fisco con esattezza l’ammontare della tariffa applicata, anche quando questa è drammaticamente più bassa rispetto a quelle di riferimento.
Che si tratti del compenso pattuito e controfirmato dalle parti o di un preventivo messo obbligatoriamente per iscritto, il mondo delle professioni è oggi chiamato a un bagno di trasparenza. Attualmente, secondo gli studi dell’Associazione Contribuenti Italiani, il 23% dei professionisti non emette fattura e ogni anno sottrae all’erario circa 3 miliardi di euro. Anche per questa ragione, lasciare una traccia scritta può rappresentare un deterrente valido all’evasione e uno strumento in più per favorire la concorrenza. Resta solo da vedere se, nel segreto di uno studio legale, alla stipula di un contratto, o all’interno di un laboratorio medico, professionista e cliente non preferiscano mettersi d’accordo eludendo il fisco e i propri doveri
repubblica.it – 17 ottobre 2011