Il Gazzettino. Non bastano i danni e le devastazioni alle colture, che ormai da anni costituiscono l’incubo dei coltivatori ed allevatori. La quasi sterminata presenza dei cinghiali nei Colli e nella Bassa Padovana, innesca ora fra gli operatori del settore il terrore della peste suina africana.
Per gli esperti è solo questione di tempo, perché i primi casi di infezione che stanno già mettendo in ginocchio allevamenti nella zona a nord ovest della Penisola, avranno immancabili ripercussione anche sugli allevamenti padovani a ridosso delle zone più popolate dalla fauna selvatica. Il fenomeno era già stato previsto e paventato da tempo da Coldiretti che, a livello nazionale, ha chiesto interventi immediati per fermare il proliferare degli ungulati e garantire la sicurezza degli allevamenti. Lo scenario previsto dall’Associazione degli agricoltori risale al luglio scorso quando centinaia di operatori agricoli avevano preso parte alla protesta davanti alla sede regionale invocando misure forti e perentorie per ridurre i capi selvatici.
“È mancata – ha ammonito il presidente di Coldiretti Padova, Massimo Bressan – l’azione di prevenzione lasciando che il fenomeno degli ungulati facesse della zona dei Colli e della Bassa, il proprio terreno di conquista. Dopo l’annuncio della peste suina, abbiamo in più occasione invocato misure per la riduzione sia numerica che spaziale dei cinghiali attraverso le attività venatorie, le azioni di controllo e le azioni programmabili nella rete delle aree protette, come appunto il Parco Colli Euganei”.
LA STRATEGIA
Le azioni, secondo Coldiretti non sembrano tuttavia essere state portate a termine in modo convinto. E la minaccia incombente dell’infezione si amplifica ormai notevolmente davanti ai numeri delle aziende che potrebbero subire danni. In provincia di Padova, infatti, gli allevamenti suini censiti nel 2021 sono 1.800, oltre 1.400 quelli familiari con appena qualche capo ciascuno, mentre nei 320 allevamenti di maggiori dimensioni si concentra la gran parte degli oltre 105mila capi allevati ogni anno.
Le strutture danno vita ad una produzione che nel 2020 è stata di 24mila tonnellate di carne con un fatturato di oltre 32 milioni di euro. Ecco perché lo scenario della peste che circola con i cinghiali assume colori a dir poco foschi. “Poco importa – conclude Bressan – che i nostri allevamenti applichino rigidi protocolli di biosicurezza e sorveglianza sanitaria. È necessario mettere in campo tutte le azioni di prevenzione e controllo. Altrimenti l’impatto potrebbe essere devastante”.