Paolo Russo. Ad accendere i motori della ripresa dovrà pensarci qualcos’altro perché il Tfr in busta paga sta facendo flop. Fino a pochi giorni fa solo sei lavoratori su cento avevano optato per l’incasso e alla fine, prevede un sondaggio della Swg per la Confesercenti, meno di due dipendenti su dieci sceglieranno di incamerare la liquidazione nello stipendio.
Il perché lo spiegano le elaborazioni fatte per noi dalla Fiba Cisl, la federazione dei bancari, che per uno stipendio medio parlano di perdite in tre anni che vanno da duemila fino a 10 mila euro rispetto alle opzioni cumulo in azienda o in fondo pensioni. E due conti se li stanno facendo i 14,4 milioni di lavoratori del settore privato, con almeno sei mesi di anzianità alle spalle, che in questi giorni stanno ricevendo i moduli per esercitare entro il mese un’opzione che varrà per i prossimi tre anni. L’arco di tempo sul quale il centro studi della Fiba ha calcolato quanto lascerebbero sul campo tre lavoratori con il reddito medio di 25 mila euro lordi annui ma anzianità differenti.
Le simulazioni
Un cinquantacinquenne in tre anni incasserebbe 3.778 euro in busta paga, con una perdita di 1.044 euro rispetto a quanto maturato lasciandolo in azienda e di 2.045 euro sulla rendita di un fondo pensioni, calcolando prudenzialmente un rendimento del 3% annuo. «Questo – spiega Andrea Scaglioni del centro studi – perché il Tfr in busta è peggio tassato e non dà rendimenti annui, quelli che rendono ancora più conveniente farlo cumulare in azienda o investirlo nella previdenza integrativa quando si è più giovani».
Infatti un lavoratore di 40 anni, con lo stesso reddito, perderebbe 3.140 euro rispetto al cumulo e 5.667 in raffronto al rendimento di un fondo. Un venticinquenne poi ne perderebbe 9.453 non lasciandolo fruttare in azienda e addirittura 10.808 euro togliendolo dalla pensione integrativa.
«Del resto – spiega il tributarista, Gianluca Timpone – i soldi accantonati in liquidazione fruttano ogni anno l’1,5% più i tre quarti del tasso di inflazione. Se ad esempio i prezzi aumentano del 2% il Tfr cresce del 3». In busta paga la rivalutazione è invece zero. E poi c’è la tassazione meno favorevole. «Quando viene riscattato – prosegue Timpone –, sul Tfr si applica l’aliquota media dello stipendio degli ultimi cinque anni, che di solito è del 23%, mentre sui fondi pensione è ora del 20%. Sempre meglio dell’aliquota progressiva Irpef che va dal 23 al 43% e che si paga incamerandolo in busta paga». Come se non bastasse poi, il Tfr in busta, cumulandosi al reddito prodotto, incide negativamente sulle detrazioni d’imposta, tipo no tax area, assegni e detrazioni per familiari a carico.
Insomma, un pessimo affare, al quale si aggiunge il fatto che aumentando il reddito si rischia di alzare anche quello Isee, che serve a determinare chi ha diritto e chi no a tutta una serie di prestazioni sociali, come asili nido, rette scolastiche, mense, sconti sulle bollette ed altro ancora.
Il vantaggio
L’unico vero vantaggio di monetizzare la liquidazione nello stipendio è quello di avere più soldi in tasca: 76 euro per chi non va sopra i 18 mila euro di reddito annuo, 97 euro mensili per chi ne guadagna 23 mila, 105 per chi ne prende 25 mila, 125 per chi ha un reddito di 35 mila. Soldi che, secondo il sondaggio della Swg, finiranno nella maggior parte dei casi per saldare debiti pregressi. Destinazione indicata da un lavoratore su quattro, mentre solo due su dieci dichiara di voler impiegare la liquidazione per fare acquisti.
Se il problema è però quello di mettere un po’ di soldi in tasca subito, è bene ricordare che in parte di può farlo anche accantonando il Tfr. Dopo otto anni è infatti possibile prelevare il 30% di quanto versato in un fondo integrativo e la metà di quanto lasciato in azienda. Anche se, in quest’ultimo caso, solo per l’acquisto di casa propria e dei figli o per spese sanitarie urgenti.
La Stampa – 8 marzo 2015