È bastato poco: un sobbalzo nel numero dei casi di Covid, trainato dalla variante Eris, – peraltro ampiamente annunciato dai giri di valzer delle varianti – perché si riproponesse, più forte che prima, è il caso di dire, la polarizzazione politica, per così dire, sopravvissuta alla chiusura del sipario dell’emergenza pandemica e alle polemiche sulla sua gestione. Da una parte le analisi sul possibile trend del Covid in vista della stagione invernale, il richiamo alle vaccinazioni delle categorie a rischio, le precauzioni che abbiamo già sperimentato. Dall’altra la sottovalutazione della minaccia, il declassamento del Covid a malattia simile all’influenza, curabile con le terapie recentemente autorizzate, capaci di migliorare gli esiti della malattia abbastanza da ovviare, è il messaggio, alla necessità di vaccinare.
La guerra delle interpretazioni è cominciata dopo la pubblicazione, l’8 settembre, da parte del Ministero della Salute, degli ultimi dati che indicavano una crescita dei contagi. Al grido di “dalli all’untore” si è scatenata sui social e sui giornali vicini al governo una vera e propria guerra contro virologi, infettivologi, esperti di salute pubblica, già identificati come pro vax, pro green pass, pro mascherine e sostenitori delle misure anti pandemiche adottate dai passati governi . Ad aprire le ostilità le prime dichiarazioni in tv e sui giornali che insistevano sull’attenzione da riservare alla nuova variante, sulle misure da adottare in caso di nuovi sviluppi, sulle vaccinazioni di richiamo, sulla possibilità di un ricorso, a certe condizioni, dell’odiata mascherina. Neanche fossimo tornati al 1918 e alla Spagnola, quando quella sgraziata “pezzuola di garza”, appena apparsa sulla scena, era indicata col dispregiativo nome di museruola, inventato da un brillante corsivista del Mattino di Napoli, Ugo Ricci. Il quale, naturalmente, non poteva sapere ciò che oggi sappiamo: che quel dispositivo di protezione individuale, in particolare la Ffp2 – come dimostrano gli studi che utilizzano i più recenti dati sperimentali sulla riduzione prodotta nell’emissione di goccioline – riduce a livelli trascurabili il rischio di contagio. Cosa che – tenuto conto dell’allentamento delle misure di contenimento sociale e sanitario – ne consiglia l’uso, a tutela dei fragili, dei deboli, dei pazienti che seguono terapie autoimmuni, dei malati di cancro, degli anziani. Eppure, la proposta del possibile ricorso all’abbondante riserva delle mascherine già disponibili da parte dei Presidi, ha trovato un massiccio muro di resistenza e si è guadagnata titoli e commenti beffardi sul pericolo di un possibile “imbavagliamento” di bambini . Al ritorno di parole come “untori” e “mostri”, hanno fatto riscontro gli ingiuriosi e volgari attacchi ad personam, indirizzati a singoli esperti, accusati di essere seminatori di psicosi e di allarmismo.
Che dire? I toni fuori misura e i contenuti del dibattito innescato questi giorni dalla crescita dei contagi e dalla sfida d’autunno, non ci pone solo di fronte alle divisioni in atto nel Paese, capaci di vanificare gli sforzi per rispondere a epidemie più frequenti nelle scuole e in altre istituzioni. Ma propongono altre importanti questioni come il ruolo sociale della scienza, e la mancanza di un ampio sostegno pubblico per la vaccinazione , che potrebbe rappresentare una seria sfida per i programmi di immunizzazione di routine. È un problema vecchio, che la pandemia di Covid-19 sembra aver esacerbato, come dimostra la rappresentazione fuorviante dei vaccini Covid-19 sui social media , la disinformazione sui benefici medico-sanitari, i falsi contenuti sullo sviluppo del vaccino e le teorie del complotto.