Al Pronto Soccorso arriva il codice arancione. Dopo un anno di sperimentazione in Azienda ospedaliera a Padova e a Vicenza, Treviso, Bassano e Feltre valutata «utile ed efficace» dalla Regione, ora il quinto codice debutta nel resto del Veneto, regione pilota. L’arancione definirà i gialli ad alto rischio di sviluppare un grave peggioramento delle funzioni vitali nelle ore successive all’arrivo in ospedale e quindi da visitare in area rossa entro 15 minuti. I gialli a basso rischio, nei quale non sussiste imminente pericolo di vita, saranno presi in carico in area verde entro 30 minuti. E’ la novità più immediata contenuta nella riforma del Pronto Soccorso deliberata dalla giunta Zaia e messa a punto da un gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Gianna Vettore, a capo del Centro regionale urgenza ed emergenza, per garantire «omogeneità della definizione della priorità e la corretta definizione dei motivi dell’accesso, indispensabili a identificare il percorso assistenziale più corretto per ciascun paziente».
Quindi riduzione della possibilità di errore e tempi più rapidi, anche di diagnosi, nell’area critica. Il codice arancione passa per il Triage avanzato, che consiste, dopo la valutazione iniziale e l’affidamento del codice colore da parte dell’infermiere, nell’approfondimento, compiuto da altri infermieri, dei parametri vitali (pressione, prelievo del sangue, elettrocardiogramma, frequenza cardiaca). «Sono però necessari l’aggiornamento del software, spazi e personale dedicati — osserva Mara Rosada, primario del Pronto Soccorso di Mestre (94mila accessi l’anno) —. Noi facciamo il Triage avanzato in una retrostanza, stretta. In più siamo già sottorganico: abbiamo due addetti al Triage ma ce ne vorrebbero tre». «Noi non disponiamo di spazi dedicati — conviene Maurizio Chiesa, direttore del Pronto Soccorso del Sant’Antonio di Padova (31mila accessi) — e quindi abbiamo scelto di azzerare l’attesa dei codici gialli, come avviene per i rossi». Spazi e software sono i due nodi da sciogliere per le direzioni sanitarie, mentre la formazione degli infermieri spetta alla Regione. «La Scuola superiore di Sanità pubblica l’ha già completata per 150 istruttori a Montecchio Precalcino, in due corsi — rivela Andrea Favaro, primario del polo di emergenza di Bassano (60mila accessi) —. Per fine anno tutti i Pronto Soccorso passeranno ai cinque livelli. Il sistema è performante e consente anche di costruire percorsi dedicati post Triage, di accelerare i tempi della presa in cura e di gestire meglio la sofferenza e la fragilità».
Quanto al potenziamento del personale, in uno degli incontri con i primari, il direttore generale della Sanità regionale, Domenico Mantoan, ha detto: «Gli infermieri non devono essere sufficienti ma adeguati». «La nuova procedura assicura maggiore comfort al paziente, per esempio con l’inizio della terapia del dolore o la sistemazione in posizione seduta o stesa — aggiunge Maurizio Sacher, primario a Montebelluna (39.500 accessi) —. Prevede l’elettrocardiogramma a tutti i soggetti con dolore toracico e la misurazione dei parametri vitali agli utenti con febbre e dispnea, per esempio. Insomma l’infermiere prepara il paziente per il medico, accelerando così il processo decisionale e permettendo di intercettare in tempo situazioni ad alto rischio come sepsi e infarto».
L’altra parte della riforma riguarda i letti che ogni giorno, dal primo dicembre scorso (dopo la sperimentazione a Padova, Castelfranco e Montebelluna) i reparti internistici (Medicine, Pneumologia, Endocrinologia, Neurologia, Nefrologia, Cardiologia, Geriatria, Gastroenterologia e in aggiunta Malattie Infettive, Angiologia, Oncologia, Reumatologia) devono riservare ai ricoveri del Pronto soccorso. La ratio, recita il decreto firmato da Mantoan l’8 ottobre 2018, è «evitare al paziente lunghe permanenze in Pronto soccorso, stazionamenti in corridoio, dislocamento in altro reparto di un’area di assistenza diversa» da quella necessaria al malato. «In genere ogni reparto riserva il 10% dei letti — spiegano Roberto Castello, primario a Borgo Trento (75mila accessi), e Stefano Kusstatscher, direttore a Rovigo (50mila) — il Veneto è la prima regione ad adottare tale misura, utile anche ad abbassare il rischio di errore». «Serve inoltre a gestire meglio emergenze come l’influenza o il boom di malori estivi», aggiunge Francesco Corà, direttore a Vicenza (79mila accessi).
Corveneto