Giuseppe Bottero. L’avanzata dei cibi salutisti manda in crisi il «junk food». Coca-Cola e McDonald’s alzano il velo sui conti e i titoli crollano a Wall Street, con la società delle bibite che finisce per incassare il peggior ribasso negli ultimi sei anni. La doppia battuta d’arresto ha radici diverse, ma entrambi i giganti del «gusto a stelle e strisce» ammettono: è arrivato il momento di reinventarsi.
Coca-Cola sceglie la via più dolorosa: una super cura dimagrante che, da qui al 2019, porterà ad un risparmio di almeno tre miliardi di dollari, il triplo rispetto a quanto annunciato all’inizio del 2014. La stretta sui costi è la conseguenza di una trimestrale con più ombre che luci: i volumi di vendita globali sono saliti dell’1%, mentre quelli delle soda sono rimasti invariati, con un calo dell’1% negli Stati Uniti. L’utile netto del terzo trimestre è sceso a 2,11 miliardi di dollari dai 2,45 miliardi del 2013, su ricavi in calo a 11,98 miliardi. Gli analisti si aspettavano profitti per 53 centesimi ad azione su un giro d’affari di 12,12 miliardi. «Abbiamo esaminato i progressi fatti e realizzato che anche se le strategie fissate a inizio anno vanno nella giusta direzione, l’obiettivo e la dimensione delle azioni deve aumentare», dice l’amministratore delegato Muhtar Kent.
Giornate complesse anche negli uffici di McDonald’s, su cui incombe anche il giro di vite di Putin. Gli utili netti dell’icona degli hamburger nel terzo trimestre sono calati del 30% a 1,07 miliardi di dollari, mentre le vendite globali arretravano del 3,3%. Di sicuro, non ha fatto bene lo scandalo cinese scoppiato quest’estate: il fornitore Osi è stato accusato di avere consegnato carne avariata alle catene di fast food, falsificando le date di scadenza.
«I risultati sono stati al di sotto delle attese sotto tutti i punti di vista», ammette il numero uno Don Thompson. «I venti contrari interni ed esterni si sono dimostrati più forti del previsto e continueranno nel quarto trimestre. Queste sfide significative richiedono cambiamenti altrettanto significativi: dobbiamo dimostrare ai nostri consumatori che capiamo i problemi che ci stiamo ritrovando ad affrontare e che stiamo assumendo misure per modificare radicalmente il nostro approccio»». Quali? Possibile che si acceleri sul fronte della qualità, come già accaduto in Europa e in particolare in Italia. Perché nel frattempo i ristoranti low cost in franchising – dalle pizze ai cibi esotici – continuano a crescere, rosicchiando terreno. Non solo l’ondata salutista ha sostituito hamburger e patatine con insalate e cibi sani, mentre le battaglie contro l’obesità infantile – un problema particolarmente sentito negli Usa – ha rilanciato acqua e succhi a scapito delle bibite gassate e ricche di zuccheri.
Ieri Wall Street ha punito pure la catena di tavole calde in stile messicano Chipotle Mexican Grill, che offre cibi biologici e carne di animali allevati in modo naturale, ma i conti del gruppo – che ha divorziato da McDonald’s nel 2006 – sono stati superiori alle attese. A pesare, in questo caso, sono state le prospettive per il 2015.
I colossi del fast food stanno barcollando pure a livello d’immagine: secondo l’ultima rivelazione di «Eurobrand» il marchio mondiale che vale di più è Apple, mentre Google ha scalzato Coca-Cola dal secondo posto. McDonald’s si è piazzato al sesto posto, dietro Microsoft e Ibm, lontano dai fasti del passato.
La Stampa – 22 ottobre 2014