L’anno ovviamente deve ancora finire, ma il bilancio climatico elaborato ad oggi dall’Istituto del Cnr aiuta a far capire come niente, neanche il lockdown o la mobilità ridotta per diversi mesi, può frenare l’aumento delle temperature: da gennaio al 15 settembre scorso si rileva un anomalia di +1,25°C rispetto alle temperature medie di lungo periodo, cioè riferite, per convenzione, al trentennio tra il 1980 e il 2010. È questo, infatti, il metodo scientifico per misurare i cambiamenti climatici: confrontandoli, cioè, con valori omogenei, indipendenti dalle tante variabili metereologiche di breve periodo.
L’anomalia registrata nel 2020, se confrontata con quelle registrate negli anni precedenti, diventa un record: finora l’anno più caldo di sempre era stato il 2018, quando i gradi in più erano stati 1,17 (mentre il 2019 si è chiuso a +0,97°C rispetto alle medie). Se non dovesse esserci un cambio di rotta nei prossimi mesi, dunque, le temperature del 2020 segnerebbero nuovamente la storia climatica del nostro Paese.
Le rilevazioni Isac-Cnr, che riescono a risalire fino al 1800, prendono in esame le differenze di temperatura mese per mese: non è stata l’estate appena conclusa a determinare questo risultato (giugno e luglio sono stati “freschi” rispetto ai valori a cui ci siamo abituati negli ultimi 15/20 anni), mentre i mesi più caldi finora sono stati febbraio (il più caldo di sempre) e settembre (che, se finisse ora, sarebbe il più caldo dal 1800). Nel frattempo, anche la siccità aumenta: a fine agosto si registra un deficit di piogge cumulate del 22% rispetto alle medie.
Nessun effetto Covid, dunque, sul climate change, anche se nel 2020 l’Ispra stima una riduzione del 7,5% delle emissioni di CO2 nazionali rispetto al 2019 a causa delle restrizioni alla mobilità durante il lockdown. «La CO2 ha una vita media in atmosfera di circa 100 anni e una tale riduzione non porta evidenze apprezzabili nella concentrazione di anidride carbonica in atmosfera, sia per la sua entità che per la durata del lockdown. Servono politiche ben più strutturali, oltre che tecnologiche e comportamentali, per ridurla nel medio e lungo periodo», spiega Michele Brunetti, responsabile della banca dati Cnr-Isac.
Questi dati sono in linea con le recenti affermazioni della Noaa (l’agenzia Usa specializzata), secondo cui l’emisfero settentrionale della Terra ha appena trascorso la sua estate più calda mai registrata in 141 anni. E confermano l’urgenza di un Green new deal in linea con i target europei. Il nuovo piano presentato la scorsa settimana dalla Commissione Ue prevede un taglio delle emissioni di almeno il 55% al 2030. Se non si corre ai ripari, secondo l’ultimo report della Fondazione Cmcc, le ripercussioni economiche saranno ingenti: un aumento della colonnina di mercurio fino a 2°C nel periodo 2021-2050 (rispetto a quello 1981-2010) si tradurrebbe in costi per l’Italia pari allo 0,5% del Pil nazionale (7 miliardi di euro). Ogni anno, per essere chiari.