Il taglio delle pensioni dei medici che hanno iniziato a lavorare prima del 1996 «è giusto ma penalizzante. La soluzione sarà nel maxiemendamento della Finanziaria». Ciò detto «i problemi del settore sono altri: il numero chiuso per l’accesso alle università e gli stipendi». Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro, sostenne l’introduzione di «quota cento» durante il primo governo Conte che accompagnò alla pensione dodicimila dipendenti del settore. E però nega che i problemi del personale siano stati aggravati da quella decisione.
Durigon, partiamo dal taglio delle pensioni per chi ha iniziato a lavorare prima delle riforma Dini, e che non riguarda solo i medici. Avete deciso di fare marcia indietro. Come?
«Stiamo cercando una soluzione, metteremo mano a questa norma che oggettivamente penalizzerebbe non solo il comparto sanitario ma molti dipendenti della pubblica amministrazione. Ci rendiamo conto che non è il momento».
Avete fatto passi avanti sulla soluzione tecnica?
«Non ancora, ma arriverà con il maxiemendamento in aula al Senato. L’ipotesi è di fare salvi i diritti di chi va in pensione coi requisiti di vecchiaia a 67 anni, per gli altri sono possibili due strade: o un décalage delle penalizzazioni a partire dal 2024, o il rinvio secco dell’entrata in vigore della norma per tutto il triennio».
Soluzioni costose, come le gestirete?
«So benissimo che hanno un costo. La Ragioneria spingeva da tempo per introdurre questa norma, e ha una sua valenza di equità».
Lei è stato uno dei grandi sostenitori di «quota cento», che secondo molti ha causato l’uscita di troppi fra medici e infermieri, al punto da costringervi a norme per riportare i pensionati al lavoro. Non fu un errore?
«Le persone di cui parla uscirono con una media di anzianità di servizio di 40,7 anni, circa dodicimila fra medici, infermieri, personale tecnico e amministrativo. Non penso sia stato un errore. Quel che è accaduto con la pandemia, sarebbe comunque accaduto».
E perché allora c’è una così forte carenza di medici e infermieri?
«Il primo problema è il numero chiuso alle facoltà di Medicina. E poi c’è un problema di stipendi. I salari all’estero sono mediamente più alti. Aggiungo: il problema del personale nel settore pubblico lo abbiamo un po’ dappertutto, a partire da Polizia ed enti locali. Dopo tanti anni di blocco del turnover bisogna ricominciare ad assumere. Il Pnrr ci sta dando una mano».
Interverrete ancora sugli stipendi della Sanità?
«Per i medici il rinnovo del contratto è stato fatto, per gli altri ci sono i fondi della Finanziaria».
Cosa risponde a chi dice che i fondi stanziati dal governo per accorciare le liste di attesa sono un regalo alle strutture private?
«In questo momento non ci possiamo permettere di peggiorare la qualità dei servizi per mancanza di personale. Finché il pubblico non è in grado di dare risposte, è inevitabile procedere così».
Cosa risponde all’accusa del quotidiano Domani secondo cui da sottosegretario avrebbe gonfiato i numeri degli iscritti dell’Ugl, sindacato di cui lei è stato leader?
«Bisognerebbe conoscere le procedure prima di scrivere certe cose. Io certo da sottosegretario non potevo e non posso certificare i numeri della rappresentanza dei sindacati. Sono convinto che il segretario Capone, com’è avvenuto in altri ricorsi, saprà chiarire come ha ritenuto di valutare la rappresentatività dell’Ugl, in coerenza con la valutazione degli ultimi trent’anni». —