Michela Nicolussi Moro, il Corriere del Veneto. È alto il tributo pagato dal Veneto alla pandemia da Covid 19: quasi cinquemila morti in tre mesi, mille solo negli ultimi dieci giorni. Dal 30 settembre (2.181 decessi, relativi alla prima ondata) a ieri (7.138) si sono piante 4.957 vittime. Una strage. «In questa seconda fase registriamo un numero molto più alto di malati, nemmeno paragonabile ai dati rilevati all’inizio — spiega il dottor Paolo Rosi, direttore del Centro regionale emergenza-urgenza e nell’Unità di crisi responsabile del monitoraggio delle Terapie intensive —. L’impatto è decisamente maggiore anche sul fronte dei ricoveri (ieri erano 2.955 in Malattie infettive e Pneumologia e 378 in Rianimazione, ndr ), perché in questo momento la nostra regione è la più colpita. L’85% delle vittime aveva più di 70 anni, e gli over 80 in genere soffrono di una o più patologie pregresse, mentre il 15% meno di 70 anni. Dall’inizio dell’epidemia, scoppiata il 21 febbraio scorso, hanno perso la vita venti persone sotto i 40 anni, cinquanta fra i 50 e i 54 anni e cento nella fascia d’età 55-60, di cui 60 uomini e 40 donne». Infatti il 60% delle degenze riguarda uomini.
Rispetto alla prima ondata è scesa dal 50% al 30% circa la percentuale di morti nelle case di riposo, ma la strage veneta rappresenta oltre il 9% degli italiani uccisi dal coronavirus. La media della mortalità ospedaliera si attesta attorno al 20% però sale al 50% in Terapia intensiva. «L’infezione si accanisce contro le persone fragili — osserva Rosi — ogni organismo reagisce in modo diverso. Certo, siamo più attrezzati e preparati rispetto a febbraio, ormai la malattia la conosciamo, ma non c’è ancora una cura specifica». Questa terribile piaga ha intaccato l’aspettativa di vita, che nel Veneto fino allo scoppio della pandemia era di 81 anni per gli uomini e di 85,7 per le donne, leggermente superiore alla media nazionale, rispettivamente di 80,6 per i maschi e di 85 anni per le femmine. «Esaminando l’andamento dei decessi fino al 31 ottobre 2020, perché i dati Istat al momento si fermano lì, abbiamo calcolato un anno e mezzo di aspettativa di vita in meno nella nostra regione — rivela il professor Stefano Mazzuco, demografo di Scienze Statistiche all’Università di Padova —. Un dato che però si aggraverà ulteriormente quando aggiungeremo le morti avvenute nei mesi più critici, cioè novembre e dicembre dell’anno appena concluso. Abbiamo preso in esame in particolare gli uomini, che da un punto di vista sanitario hanno subìto le conseguenze peggiori, ed è emerso un calo nella speranza di vita pari a undici mesi a Rovigo, a otto mesi a Verona e a Venezia, fra i due e i quattro mesi a Padova, Vicenza, Treviso e Belluno. Però aggiungendo gli ultimi due mesi del 2020 — precisa il ricercatore — Verona e Vicenza oltrepasseranno l’anno. E peggioreranno anche le altre province».
Un calo della speranza di vita così importante in un lasso di tempo tanto breve non ha precedenti nella storia d’Italia, fatta eccezione per le due guerre. «Nel 2015 l’influenza mal contrastata dai vaccini e un’ondata di calore particolarmente intensa hanno portato ad un calo della speranza di vita di circa 0,3 anni — chiude Mazzuco — ma non c’è confronto». Peggio va alla Lombardia, che in alcune delle province più colpite dalla prima ondata, cioè Cremona, Bergamo, Lodi e Piacenza, ha visto crollare di 4-5 anni la speranza di vita per gli uomini. Fra i due e i tre anni ha perso invece Parma, un po’ meno le altre città dell’Emilia Romagna. «Tornando al Veneto, può essere utile considerare il raffronto con la Danimarca, che ha una popolazione simile: poco meno di 6 milioni di cittadini contro i nostri 5 — illustra il demografo —. La Danimarca non avrà un calo dell’aspettativa di vita, che forse aumenterà leggermente, probabilmente perché ha attuato una politica di restrizioni molto più stringenti e tempestive. A metà dicembre, quando si contavano 1.700 contagi, il governo danese ha adottato provvedimenti da zona rossa. Nello stesso periodo il Veneto aveva circa il triplo di nuovi casi ed era zona gialla».
Lo studio del professor Mazzuco prosegue, perché oltre a dover inserire i decessi degli ultimi due mesi dell’anno (i relativi dati Istat dovrebbero essere disponibili per fine mese), il ricercatore dovrà calcolare il calo nell’aspettativa di vita anche delle regioni del Sud. Meno colpite dalla prima ondata della malattia e quindi al momento ferme sotto i sei mesi.
Ieri intanto il Veneto ha rilevato altri 3.177 contagi, per un totale di 275.124, e 83 vittime, incluse nel conteggio di cui sopra. Secondo gli ultimi dati Agenas il tasso di occupazione dei 700 letti di Terapia intensiva è del 36%, contro la media nazionale del 30%, che è anche la soglia d’allarme. In area non critica (Malattie infettive e Pneumologia) la percentuale sale al 46% a fronte del 37% nazionale. E oggi e domani torna l’area gialla.