L’intervento di Eugenia Tognotti, La Stampa– Si può davvero calare il sipario sulla pandemia, come annunciato dall’Oms, prima che il mistero sull’origine del Covid-19 sia svelato? O non è più saggio, dato che non abbiamo ancora vinto la guerra al virus, rispolverare la storica esortazione «adelante con juicio» che il gran cancelliere spagnolo rivolge, nei «Promessi Sposi», al vetturino della carrozza che si faceva strada tra la folla milanese inferocita, durante la peste del 1630? «Avanza con giudizio», sembra essere, tra le righe, l’avvertimento rivolto da una parte della comunità scientifica, al capo dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus che, nel briefing dell’altro ieri con la stampa, ha detto di cullare la fiducia di poter dichiarare la fine dell’emergenza nel 2023. Aggiungendo che, a tre anni dalla data spartiacque – 11 marzo 2020 – della dichiarazione della pandemia come un’emergenza sanitaria globale, la pandemia potrebbe stabilizzarsi quest’anno fino a rappresenta una minaccia simile all’influenza stagionale.
È una buona notizia, non c’è dubbio. Ma le voci contrarie non sono poche e talune – impegnate in prima fila anche in organismi di consulenza ai governi durante la pandemia – richiamano gli errori di valutazione dell’Oms nella prima drammatica fase della pandemia; nonché il peso crescente del Long Covid e la possibilità che gli Stati esercitino una pressione sull’organizzazione sanitaria delle Nazioni Unite per superare lo stato di emergenza e gli impegni che vi sono collegati. Un virologo dell’Università di Leeds, nel Regno Unito, membro del gruppo di scienziati indipendenti iSAGE ha dichiarato a New Scientist che i piani dell’Oms sono prematuri, chiamando in causa la discriminazione che riguarda milioni di soggetti clinicamente vulnerabili e, in particolare, quelli incapaci di fornire risposte efficaci ai vaccini.
In realtà, le inquietudini che al momento frenano sul «declassamento» dell’emergenza sono emerse in sottofondo anche nella conferenza stampa: molti Paesi denunciano ancora vuoti nella copertura vaccinale e nell’accesso ai trattamenti antivirali, e s’impone la necessità di proteggere i più vulnerabili da gravi malattie. Né è stato trascurato il temibile scenario di una possibile evoluzione del virus e la possibilità che diventi più contagioso. Insomma, Covid-19 è ancora una minaccia per la salute, considerato che 5 mila persone muoiono ogni settimana. Certo siamo nella posizione migliore rispetto a qualsiasi altro momento dei tre anni di pandemia e il virus non sta più sconvolgendo la vita di tutti e minacciando la tenuta dei sistemi ospedalieri. Ma occorrerà aspettare per l’annuncio formale dell’Oms di fine pandemia – solenne e giustamente festoso come quello che nel 1979 dichiarò l’eradicazione del vaiolo dalla faccia della Terra. Un Comitato sta studiando i criteri che guideranno la decisione di declassare il Covid-19 da un’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale, cioè il livello di allerta più alto.
Ma quando arriverà, e se arriverà, quella dichiarazione non farà calare il sipario, fino a quando resterà irrisolto il mistero dell’origine del Covid-19. E non si saprà se Sars-CoV-2 proviene da animali o se è stato creato, intenzionalmente o accidentalmente, dai ricercatori del vicino Wuhan Institute of Virology. La ricerca del cosiddetto «ospite intermedio» – un animale dal quale il virus avrebbe fatto il suo salto nella specie umana – continua (all’attenzione il cane procione). E, intanto, ecco un nuovo giallo che chiama in causa le reticenze della Cina a condividere i dati: un gruppo internazionale di ricercatori si è imbattuto in un nuovo materiale genetico, pubblicato su un database scientifico pubblico, GISAID, dove gli scienziati caricano le sequenze genetiche dei patogeni studiati. Dopo la richiesta degli scienziati al team cinese che aveva steso il rapporto originario, le sequenze genetiche sono immediatamente, ma non misteriosamente, scomparse. Il mistero dell’origine del COVID-19 continua. —