Il Corriere della Sera. Il governo sta soppesando le misure che potrebbero incidere sull’andamento dell’epidemia in Italia. I casi stanno progressivamente aumentando seppure a velocità moderata e non con l’esplosione di altri Paesi europei. Quali potrebbero essere le novità da qui a Natale?
Fabio Ciciliano le commenta una ad una. È uno dei dodici del Comitato tecnico scientifico impegnati a supportare le decisioni tecniche in questo momento critico.
Siamo alle strette?
«In Italia stiamo assistendo a un incremento del numero di contagi che non è neppure lontanamente paragonabile a quanto succedeva un anno fa, nello stesso periodo. L’impatto sul sistema sanitario è modesto grazie all’imponente campagna vaccinale che ci innalza ai primi posti in Europa per percentuale di popolazione immunizzata. Nei Paesi dove la vaccinazione non avanza, i numeri dei contagi sono sensibilmente più alti. Dobbiamo sfruttare questa posizione di vantaggio, senza vanificarla, ed è giusto pensare a quello che si potrebbe fare di meglio».
Analizziamo una alla volta le novità che potrebbero arrivare. Tempi di somministrazione della terza dose ristretti a 5 se non addirittura a 4 mesi dal completamento del ciclo iniziale. Ora è previsto un «distanziamento» tra seconda e terza dose di 180 giorni. Si dovrebbe accorciare?
«L’Istituto superiore di sanità ha appena pubblicato i dati sull’efficacia vaccinale. Dopo sei mesi dal completamento del ciclo la protezione degli anticorpi cala dal 95% all’82%».
Dunque è logico abbreviare le scadenze?
«L’agenzia del farmaco Aifa si pronuncerà a breve sull’opportunità di accorciare i tempi fra le dosi. Ritengo che anticipare la possibilità del richiamo con la terza dose abbia l’indiscutibile vantaggio di intercettare molte più persone e prevenire le infezioni da Covid-19 nel prossimo inverno. È il periodo che coincide purtroppo con la maggiore capacità di diffusione di tutti virus a trasmissione aerea come anche il Sars-CoV-2. È un modo sicuro per innalzare ed allargare fin da subito le difese individuali e collettive».
La validità dei tamponi antigenici, necessari ai fini del rilascio del green pass ai non vaccinati, verrà ridotta da 48 a 24 ore?
«Lo strumento del green pass si è rivelato un mezzo fondamentale per garantire libertà di movimento e contenimento dell’epidemia. Penso però che escludere il tampone antigenico per ottenere la certificazione verde possa poi ripercuotersi negativamente su alcuni diritti fondamentali dei cittadini, come ad esempio la libertà di spostarsi (su treni ad alta velocità e aerei è già necessario), meno su altri come ad esempio andare al bar o al ristorante. In condizioni epidemiologiche compromesse le valutazioni sarebbero diverse. La vaccinazione resta comunque volontaria».
Lei è per l’obbligo?
«L’obbligo risolverebbe il problema delle residue coperture vaccinali mancanti».
Via i tamponi antigenici. Passaggio ai test molecolari, più sicuri sul piano della diagnosi. Che ne pensa?
«Esiste un discorso di fattibilità. I laboratori che offrono tamponi molecolari sono pochi rispetto ai punti dove vengono eseguiti gli antigenici. I tempi per avere le risposte si allungherebbero e non possiamo permettercelo».
Green pass valido 9 mesi anziché gli attuali 12?
«Ad agosto il Cts ha deciso di portarne la durata da 12 a 9 mesi sulla base di evidenze epidemiologiche di allora. Con la possibilità di modificare di nuovo la durata della validità se avessimo avuto nuove evidenze. Che adesso ci sono. L’efficacia del vaccino si è ridotta e ciò può suggerire di ridurre la scadenza del green pass».
Se il passaporto avesse una validità di 9 mesi, avremo l’obbligo indiretto di accettare il richiamo, pena la scadenza del certificato?
«Tanti vaccini prevedono il richiamo che serve per potenziare la risposta immunologica».
A dicembre l’agenzia europea Ema dovrebbe autorizzare il vaccino 5-11 anni. Cosa farà l’Italia?
«Servirà una corretta comunicazione. Dobbiamo fare ogni sforzo per far comprendere in maniera chiara e oggettiva l’importanza di proteggere i nostri bambini soprattutto nell’interesse della loro salute. Gli errori di comunicazione commessi durante la pandemia non sono ammissibili».