Analisi di Giorgio Calabrese. La Stampa. Non tutte le guerre sono immediatamente percepibili, chiaro che quelle classiche con bombe e proiettili non sfuggono neppure ai più distratti. Ci sono poi delle guerre così ben camuffate da non risultare visibili sui radar, una di queste è quella delle multinazionali dell’alimentazione.
Una nuova ricerca, denominata «I Baroni del cibo» (Food Barons), evidenzia il dominio a livello globale di un piccolo numero di multinazionali dell’alimentazione, che sta aumentando grazie all’uso crescente dei big data e dell’intelligenza artificiale.
Nel tempo degli splendori dell’Impero romano un pilastro capace di sostenere tutta l’organizzazione politica dell’Impero era il rifornimento di frumento per la Capitale e per le legioni di stanza ai confini, che ricevevano parte dello stipendio in natura: le annona militaris, razioni di grano. L’Impero doveva garantire il grano anche attraverso un sistema di requisizioni e in parte dal mercato libero con prezzi elevati, ma una porzione era venduto al popolo a prezzo agevolato. Ergo, chi gestisce il cibo detiene anche il potere.
Ai nostri giorni si sta verificando un allarmante accentramento. Una fetta ingente delle sementi, precisamente il 40%, è nelle mani di due sole multinazionali: Syngenta e Bayer. Anche fertilizzanti e materie prime sono concentrate in pochissime mani, con profitti da capogiro. Dopo anni di dominio delle aziende del Nord America ed europee, questo settore vede protagoniste Cina, Brasile e India ma i metodi di accentramento sono gli stessi.
Gli specialisti dell’Etc Group, un ente pubblico di beneficenza con base in Canada, affermano che permettere a pochissime aziende giganti, senza una specifica supervisione di norme commerciali, significa permettere di estromettere i concorrenti, aumentare i prezzi, dirottare l’agenda della ricerca e sviluppo, monopolizzare le tecnologie, anche quelle difettose e inefficaci, e massimizzare i profitti. Prova ne è il fatto che, nonostante la recente pandemia e la crisi alimentare, queste aziende hanno aumentato il giro d’affari sfiorando i 10 trilioni di dollari. L’Etc group ha analizzato 11 settori alimentari, classificando le più grandi società che dominano ogni anello della catena del cibo a livello industriale e commerciale.
Il mercato globale delle sementi, ad esempio, segue questa classifica: la tedesca Bayer 23%; la statunitense Corteva Agriscience 17%; ChemChina/Syngenta 7%; poi Basf, la francese Limagrain/Vilmorin&Cie, la KWS, infine le giapponesi Sakata Seeds e Kanelo. Per quanto riguarda l’agrochimica: appena due aziende controllano oltre il 40% di questo mercato globale, si tratta di Syngenta Group e Bayer. Fino a 25 anni fa la stessa percentuale era controllata da 10 diverse aziende; ora la Syngenta è diventata proprietà del governo cinese attraverso le società SinoChem e ChemChina. Nel 2020 il gruppo controllava circa un quarto del mercato globale dei prodotti chimici per l’agricoltura. Il fatturato, pari a 15 miliardi di dollari, ha surclassato quello degli storici leader dell’agrochimica. Dopo le prime due posizioni troviamo la tedesca Basf e la statunitense Corteva. A seguire, ad un certo margine di distanza, c’è la Upl con base in India e la Fmc negli Usa. Sempre dalla Repubblica Popolare Cinese arrivano altre 10 aziende agrochimiche nell’alveo di quelle dominanti. Tra queste c’è la Sinofert, che si piazza al settimo posto nella classifica delle imprese produttrici di fertilizzanti sintetici.
Nell’ambito del commercio delle materie prime agricole, la concentrazione è tale che nel 2020 sono stati solo dieci i commercianti a dominare un mercato del valore di mezzo trilione di dollari.
Una concentrazione impressionante, che gli autori del report Etc Group non esitano a definire un «oligopolio estremo». Questo dominio diventa sempre più difficile da scalfire, anche grazie alle innovazioni tecnologiche, infatti i giganti dell’agrobusiness si stanno infiltrando rapidamente nel mondo rurale, sfruttando al meglio le risorse messe a disposizione dall’intelligenza artificiale. Il rapporto sottolinea i tentativi concertati di imporre l’agricoltura digitale 4.0 che utilizza irroratori a drone, seminatrici robotizzate ed esegue operazioni di alimentazione animale automatizzata, fino ad arrivare a sistemi di riconoscimento facciale per il bestiame. Si semina a seconda della fertilità del terreno, quindi non sovraccaricando né sprecando semi dove purtroppo il terreno non consentirebbe di realizzare una produzione elevata, mettendone invece di più, dove il terreno è fertile.
Gli investimenti hanno riguardato anche le visioni satellitari, che restituiscono il consumo dell’acqua degli impianti idrici zona per zona. Oltre a far risparmiare risorse, queste tecnologie permettono anche dei trattamenti mirati, che consentono di ridurre l’uso di fertilizzanti chimici. Tutti i dati vengono raccolti, archiviati e analizzati con l’aiuto di algoritmi per prendere decisioni automatizzate in azienda e la finalità evidenziata è quella di aumentare l’efficienza e la redditività grazia alla cosiddetta «agricoltura di precisione», ma gli esperti dell’Etc leggono queste tecnologie come un cavallo di Troia per erodere l’indipendenza di imprenditori agricoli e dei loro lavoratori e lavoratrici.
Negli ultimi mesi, i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti vertiginosamente, dopo le interruzioni causate dalla guerra in Ucraina e il continuo impatto della pandemia di Covid. I profitti dei principali commercianti di materie prime e di sostanze agrochimiche si sono impennati, ma al tempo stesso è emersa la vulnerabilità di un sistema fondato su importazioni globali, fertilizzanti e pesticidi. Dobbiamo ricordare che la disuguaglianza strutturale e la concentrazione aziendale guidano e alzano i prezzi dei generi alimentari, evidenziando che l’agroindustria non è riuscita a sfamare nemmeno un terzo delle persone sul pianeta. Man mano che la catena alimentare diventa più pesante, queste aziende diventano più esposte e vulnerabili e i danni non si limitano al controllo di ciò che dovremmo seminare e mangiare, erodendo la varietà e la resilienza della produzione alimentare, ma ha un impatto etico anche sul mondo del lavoro.
Queste multinazionali dominanti hanno sfruttato il Covid per digitalizzare i processi e licenziare i lavoratori a causa dell’utilizzo della tecnologia robotica in un numero crescente di Paesi. Si è evidenziata una vasta ristrutturazione digitale del sistema alimentare commerciale, che comprende IA (Intelligenza Artificiale), robot, droni e blockchain e le preoccupazioni riguardano la manipolazione dei clienti, la sottrazione del processo decisionale agli agricoltori, la sostituzione e il controllo algoritmico dei lavoratori della catena alimentare e i costi climatici dell’uso dei dati.
La Cina riappare con prepotenza nel campo degli erbicidi, dove è riuscita ad inserirsi con successo negli ultimi 25 anni, grazie alla scadenza dei brevetti dei prodotti di successo creati dalle concorrenti statunitensi ed europee, come Monsanto e Bayer, che si sono fuse pochi anni fa.
La creazione, a partire dagli anni 2000, di sementi tolleranti agli erbicidi create e commercializzate dalle medesime aziende, ha prodotto un cocktail agrochimico fatale, per cui acquistando un prodotto non si può prescindere dall’altro. Un loop dal quale è difficile uscire. Pechino fornisce oggi quasi la metà di tutte le esportazioni globali di erbicidi, tra cui il glifosato.
In questo campo l’altra protagonista è l’India, capace di sfornare enormi quantità di prodotti agrochimici generici e mettendoli a disposizione di un mercato molto vasto, tanto che le esportazioni indiane di erbicidi (in gran parte glifosato) sono cresciute del 19% all’anno tra il 2003 e il 2015. Se a tutto questo aggiungiamo anche il fenomeno cosiddetto del «Land grabbing» ovvero accaparramento delle terre nel Sud del mondo, possiamo considerare pronta la detonazione. —