Giocare d’anticipo, puntando tutto sulla trasparenza, sulla tracciabilità del prodotto e soprattutto sulla comunicazione. In caso di crisi, come quella che stanno vivendo i brand coinvolti nello scandalo della carne di cavallo venduta come manzo, è questo che bisognerebbe fare per riguadagnare la fiducia dei consumatori.
Coinvolgendo anche le associazioni di categoria perché, al di là delle singole aziende, è un intero settore che si trova a dover trovare congiuntamente soluzioni per non soffrire sul mercato.«Quello che i consumatori si aspettano è che le aziende non scarichino la responsabilità su altri, perché la fiducia la gente la ripone nel marchio», sostiene Luca Poma, consulente, esperto in customer relationship management e in comunicazione della crisi (e autore, insieme a Giampietro Vecchiato, del libro Crisis management). «In tal senso, è indispensabile che ci sia un’azione di sistema a livello di comparto, sia da parte delle imprese implicate, sia di quelle che ne sono rimaste fuori ma che potrebbero trovarsi coinvolte da un momento all’altro: è necessario strutturare sistemi normativi di tracciatura del prodotto, di rendicontazione e di trasparenza, andando a monte della catena, impegnando tutti i fornitori e comunicando tutto questo». Ogni giorno ormai un marchio si aggiunge alla lista di quelli coinvolti: un allarme che si sta espandendo a macchia d’olio chiamando in causa colossi come Nestlè, Findus, Ikea e Star. Ma anche i concorrenti tremano: secondo una stima di Coldiretti in Italia gli acquisti di primi piatti pronti, surgelati e ragù sono crollati del 30%.
Lo tsunami partito dalla scoperta dell’inserimento della carne equina, senza che fosse dichiarato sull’etichetta, in alcuni preparati, come le lasagne pronte e surgelate Findus, i ravioli Buitoni, i ragù Star e le polpette vendute all’Ikea (finita poi nel ciclone anche per le tortine con presunti colibatteri), ha innescato infatti una crisi che potrebbe rivelarsi «particolarmente grave perché sollecita temi come la salute pubblica e perché trattandosi di subforniture, nel caso della carne, un’azienda oggi serena potrebbe scoprirsi coinvolta domani», dice Poma.Un ruolo per fronteggiare la crisi, come detto, potrebbero giocarlo le associazioni di categoria. «Quando un intero settore è coinvolto, è opportuno che vadano avanti loro per spiegare e fare in modo che non accada più», sostiene la consulente di crisis management Eva Jannotti.
È da vedere come si evolverà la posizione adottata per ora da Federalimentare che, poco più di due settimane fa, ha qualificato lo scandalo della carne di cavallo come «un evidente caso di frode in commercio, che però non deve mettere in dubbio l’impegno e l’efficienza del sistema di controllo europeo e italiano per la sicurezza dei prodotti alimentari», per cui l’industria alimentare della Penisola investe per oltre 2 miliardi di euro. Per ora le aziende hanno cominciato a correre ai ripari singolarmente, adottando la linea del blocco delle vendite e rendendo noti i fornitori responsabili: Nestlè per esempio ha dichiarato di aver sospeso le consegne di tutti i prodotti contenenti carne rifornita da una ditta tedesca subappaltatrice di uno dei fornitori, perché ha rilevato tracce di dna equino in due preparazioni a base di carne di manzo provenienti dall’azienda.
Star ha diffuso una nota stampa in cui «si dichiara vittima della vicenda al pari di altre primarie aziende nel settore alimentare», precisando che «tali prodotti sono stati preparati con carne che ci era stato assicurato essere 100% bovina».«La filiera della carne bovina è tracciata e rintracciabile fino all’origine degli alimenti del bestiame. Non altrettanto vale per la carne equina», afferma Luciano Pilati, professore del dipartimento di economia e management (autore del volume Marketing agro-alimentare).
«Resta da chiarire perché sia stata perpetrata una frode in commercio. Forse non esisteva uno sbocco sul mercato della carne equina, comunque dotata dei requisiti di legge, e quindi si è forzata una vendita sotto mentite spoglie? Bisogna evitare comunque che si diffonda uno stato d’ansia collettivo in materia alimentare che metta in crisi il lavoro di molti; se emergeranno comprovati rischi per la salute allora bisognerà ripensare la strategia minimalista adottata finora».© Riproduzione riservata
ItaliaOggi – 9 marzo 2013