Alexandre aveva 26 anni. Stava facendo bodyboarding, scivolava sulle onde con la pancia sul surf, sulla costa nordest dell’isola di Réunion, nell’oceano Indiano, quando è stato aggredito da un squalo. Gli ha morso la gamba, reciso l’arteria femorale davanti agli occhi di molti nuotatori. Il ragazzo, che aveva lavorato come «avvistatore» di squali, è stato portato in spiaggia ed è morto dissanguato.
Era con la tavola in una zona dove non doveva stare, un’area vietata proprio perché a rischio. Nell’isola che fa parte del dipartimento d’oltremare francese, ci sono stati 20 attacchi negli ultimi 5 anni, 8 mortali. Tre anni fa morì una quindicenne, non era una surfista, stava semplicemente nuotando, non accadeva da almeno trent’anni.
Gli squali alla Réunion fanno paura davvero, per gli abitanti dell’isola sono qualcosa di più che i terribili protagonisti di un film hollywoodiano. I pescatori dicono che a furia di non pescarli sono diventati troppi. Kelly Slater, 11 volte campione del mondo di surf, dopo quest’ennesima tragedia ha chiesto «un abbattimento di massa, da fare ogni giorno». È stato travolto da un’ondata di indignazione da parte di chi ritiene, al contrario, che il problema non sia lo squalo, ma l’uomo. «Voi andreste nella savana vestiti da antilopi?» la domanda, provocatoria ma non troppo, è di Alberto Luca Recchi, fotografo subacqueo e scrittore. «Lo squalo vede la sagoma del surf e cade in errore, pensa che sia una tartaruga o una foca, una preda. Prova a mangiarla, si accorge di aver sbagliato, perché noi uomini non rientriamo nel loro menù, e lascia la presa. Ma ormai il danno è irreparabile».
Recchi ha conosciuto il suo primo squalo oltre trent’anni fa. «Cercavo in apnea delle aragoste, ho infilato la mano in una cavità quando mi sono accorto che dietro c’era una strana presenza. Ero uno squalo, ho tirato via la mano per la paura, mi sono ferito, usciva del sangue. Ero nella condizione peggiore possibile, lui mi è girato attorno e poi se n’è andato. Da quel momento sono rimasto stregato».
Non tutti sono d’accordo. Nell’immaginario collettivo, complice non solo Spielberg (anche il nostro Collodi fece mangiare Pinocchio e Geppetto appunto da un pescecane), sono i temibili mostri del mare, predatori cattivissimi. Peggio ancora chi invece li considera «buoni», soprattutto le pinne fatte a zuppa. «Si stima che oltre 100 milioni di esemplari ogni anno vengano catturati per rifornire i ristoranti — ricorda Rosalba Giugni, presidente di Marevivo —. Gli vengono tagliate le pinne e poi sono ributtati in acqua, fanno una morte atroce».
Il fotografo Recchi non ha dubbi: «Oggi il mare è infestato dalle buste di plastica, non dagli squali. Li odiamo perché è ancestrale la nostra paura di finire nella pancia di un altro essere vivente. Ma, statistiche alla mano, fanno molte più vittime i vicini di casa».
Riccardo Bruno – Il Corriere della Sera – 23 febbraio 2017