La cifra secca è un pugno allo stomaco: 3.733 euro. Sono i soldi che ciascuno dei circa cinque milioni di veneti paga allo Stato in tasse che non tornano più indietro. In tutto fanno 18 miliardi e 225 milioni, e si ottiene da una semplice sottrazione tra gli oboli pagati (70 miliardi e 220 milioni) e le spese locali ( 51 miliardi e 995 milioni). L’ultimo dato sul residuo fiscale è stato diffuso ieri dalla Cgia di Mestre. Numeri rielaborati da uno studio di Unioncamere, basato sui dati dei conti pubblici territoriali studiati dall’Osservatorio federalismo di Gian Angelo Bellati: in quello studio era stato posto in evidenza che in Veneto la spesa pubblica vale il 34,9% del Pil regionale, contro una media nazionale del 44,6% e il valore della «solidarietà» fiscale media tra il 2010 e il 2012 veniva quantificato nello stesso ordine di grandezza (70,4 miliardi di entrate: 51,1 di spese e 19,3 di residuo).
Peraltro, sono tutte le Regioni del Nord a versare più di quanto ottengono: la stima è di circa cento miliardi l’anno, pari alla differenza tra le entrate complessive regionalizzate (fiscali e contributive) e le spese complessive (regionalizzate al netto di quelle per interessi) delle amministrazioni pubbliche.
In questa classifica sulla «generosità», il Veneto è secondo solo alla Lombardia (53,9 miliardi di euro, 5.511 euro a testa). Segue l’Emilia Romagna (17,8 miliardi, 4.076 euro). Sempre stando alla Cgia, se poniamo la lente di ingrandimento sul Meridione tutte le Regioni presentano un residuo fiscale negativo, col record della Sicilia (-8,9 miliardi, -1.782 euro procapite). In Calabria, invece, il residuo è pari a -4,7 miliardi di euro (-2.408 euro procapite), in Sardegna a -4,2 miliardi (- 2.566 euro), in Campania a -4,1 miliardi (-714) e in Puglia a -3,4 miliardi (- 861).
Il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, è lapidario: «È necessario portare a termine la riforma del federalismo fiscale». Articola il ragionamento l’economista Carlo Carraro: «Il trasferimento di risorse è normale in tutti i paesi, la tensione si crea quando non c’è equilibrio tra risorse che partono e servizi che non ritornano», spiega. «Ad esempio, non è normale che tre regioni spendano la metà dei costi sanitari dell’intera nazione, come capita in Italia. Questo modello funziona meglio negli Stati dove c’è più federalismo».
Il professor Dino Rizzi insegna Scienza delle Finanze a Ca’ Foscari: «Mi colpisce il dato del Trentino Alto Adige: riceve dallo Stato 612 miliardi. La solidarietà ha senso ma in questo caso dal punto di vista economico è contestabile. A parità di soldi assegnati alle Regioni, chi li spreca fa danni ai propri cittadini. Non so dunque se ha senso limitare i trasferimenti in caso di sperperi».
Da registrare l’analisi di Giampietro Brunello, amministratore di Sose, la Società per gli studi di settore: «Dobbiamo ricordare che le medie numeriche sono difficili da interpretare. Ad esempio, il gettito immobiliare e le tasse sulla casa di Roma sono enormi e i romani spesso pagano più rispetto a quello che ricevono indietro».
Immediato il commento del presidente della Regione del Veneto Luca Zaia. ”Non avevo dubbi in merito, ma penso sia salutare per tutti – a partire dal governo centrale – che, dati alla mano, qualcuno di tanto in tanto ce lo ricordi. Aiuta a capire che le richieste di maggior autonomia il Veneto le ha formulate a ragion veduta”. Zaia commenta con queste considerazioni i dati diffusi oggi da Cgia secondo cui le Regioni a statuto ordinario del Nord danno oltre 100 miliardi di euro all’anno come contributo di solidarietà al resto del Paese, in base ai dettami del Patto di Stabilità. “Cgia fa bene a evidenziare che tutte le Regioni del Nord a statuto ordinario presentano un saldo positivo – aggiunge Zaia – e ciò significa che versano molto di più di quanto ricevono dallo Stato. Il Veneto risulta in saldo positivo per più di 18 miliardi che, invece di tornare a beneficio dei veneti che li hanno pagati, restano comunque nelle casse romane. Se potessimo disporre di queste risorse saremmo in grado di investire per la crescita della nostra regione e, a cascata, questo avrebbe effetti positivi per la crescita di tutto il sistema Paese”. “Su questo stesso filone – conclude Zaia – si innestano le nostre richieste di una vera applicazione dei costi standard a livello nazionale: questo si tradurrebbe in un risparmio di almeno 30 miliardi di risorse ovvero circa un terzo degli interessi che l’Italia paga per il suo debito pubblico. Di fronte ai dati confermati da Cgia, che per qualche realtà sono a dir poco imbarazzanti, è difficile dar contro e non sposare la linea di maggior autonomia che noi chiediamo. Questi sono fatti, non chiacchiere, e i numeri sono dalla nostra parte”.
14 febbraio 2015