Proprio mentre Regioni e Governo stanno trattando su come definire i costi standard sanitari, il Cerm effettua una nuova simulazione degli effetti del decreto che indica tra i 5,7 e i 5,8 mld di Euro il gap tra spesa effettiva e spesa standard. Le forbici maggiori nel Lazio e in Campania (circa 1,5 miliardi di risparmi possibili in ciascuna delle due realtà) con l’applicazione dei nuovi criteri di riparto.
Il Cerm, guidato dall’economista Fabio Pammolli e dal suo braccio destro per la sanità, l’ex bocconiano Nicola Salerno, non è nuovo ad analisi approfondite sul federalismo sanitario.
L’ultima, messa a punto ieri e che Quotidiano Sanità è in grado di anticipare ai suoi lettori, ci offre una serie di scenari su come cambierebbe il finanziamento del Servizio sanitario una volta applicati i nuovi costi standard del Governo.
Una premessa è però d’obbligo. Questo studio del Cerm non è un’applicazione alla lettera del decreto ma una sua reinterpretazione utile a sgombrare il campo da una serie di possibili equivoci che, secondo il Cerm, potrebbero scaturire da un’applicazione alla lettera del decreto stesso.
Intanto le Regioni, prese a modello per calcolare il fabbisogno standard, non coincidono con quelle utilizzate dall’ultima rilevazione del Copaff (la Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale presieduta da Luca Antonini) e cioè Lombardia, Marche, Toscana e Umbria. Per il Cerm le Regioni da prendere a modello sono invece Emilia Romagna, Lombardia, Toscana, Umbria e Veneto perché, spiegano i ricercatori, sono quelle che, nel corso degli ultimi anni, hanno rispettato la programmazione realizzando condizioni di sostanziale equilibrio di bilancio e, inoltre, hanno erogato prestazioni di qualità, testimoniate da rilevazioni e riflesse da un saldo attivo dei flussi di mobilità.
Ma la differenza più marcata sta nel criterio scelto dagli analisti del Cerm per individuare il fabbisogno standard benchmark. In primo luogo gli ammortamenti non vengono esclusi dal conto, come previsto dal decreto, perché, sottolineano Pammolli e Salerno, “vi sono forti dubbi sulla possibilità di dare separata evidenza degli ammortamenti in quanto la contabilità del Ssn non è pronta a tale disamina” e poi soprattutto perché “gli ammortamenti sono parte delle spese di funzionamento” e per questo “risponde a una logica corretta responsabilizzare le Regioni anche sulle scelte riguardanti i nuovi investimenti”.
Ci sono infine due ultimi distinguo metodolologici tra questa simulazione del Cerm e il dispositivo del decreto. Il primo è che nel calcolare la spesa pro capite standard si è scelto di fare la media aritmetica tra le spese procapite delle regioni benchmark e non quella ponderata per età in quanto, sottolineano i ricercatori, vi è il rischio che “la ponderazione tra le Regioni benchmark possa prestarsi a essere un ambito di contrattazione politica”. La seconda differenza riguarda invece la pesatura della popolazione cui applicare gli standard di spesa che i ricercatori Cerm hanno scelto di effettuare non sui pesi in vigore nei due anni precedenti l’esercizio di riferimento, come previsto dal decreto, ma sui rapporti di spesa procapite per fasce d’età rilevabili nelle regioni benchmark.
Chiarite queste differenze di metodo andiamo a vedere i risultati.
Il Cerm ci offre due scenari possibili. Il primo conduce a uno scostamento tra spesa effettiva e spesa standard ricalcolata di 5,8 miliardi di Euro con forti penalizzazioni in molte regioni. In questo caso la Regione che fa registrare lo scostamento assoluto maggiore è il Lazio, oltre 1,5 miliardi di Euro, pari al 14% della spesa contabilizzata nel 2009. Segue la Campania, che dovrebbe operare una riduzione di quasi 1,5 miliardi di Euro, equivalenti a circa il 14% del consuntivo 2009. Quindi la Puglia, 653 milioni di sovraspesa, per l’8,9% del consuntivo; la Sicilia, circa 390 milioni di Euro, per il 4,5%; la Calabria, 354 milioni di Euro, per il 9,5%. Riduzioni percentuali significative dovrebbero operare anche il Molise, 9,3% e circa 60 milioni di Euro, la Sardegna, 8,5% e circa 264 milioni di Euro, e la Basilicata, circa 5,8% e 63 milioni di Euro. Il Piemonte dovrebbe correggere del 3,6% che, data l’ampiezza della Regione, equivale a più di 300 milioni di Euro.
Scostamenti percentuali a doppia cifra per la Valle d’Aosta e le due Province Autonome di Bolzano e Trento: circa 21% e 59 milioni per la prima, oltre 27% e quasi 300 milioni per Bolzano, e oltre 16% e 176 milioni per Trento. A livello Paese, se tutte le Regioni avessero condiviso gli standard di efficienza, le risorse assorbite nel 2009 sarebbero state inferiori di circa il 5,3%, passando da poco più di 110,8 miliardi di Euro a poco meno di 105 (si sarebbero liberate risorse per circa 5,8 miliardi di Euro).
Per apprezzare appieno il significato delle correzioni di spesa, si sottolinea che, per costruzione, la spesa standardizzata è quella che ogni Regione dovrebbe sostenere per offrire in modalità efficiente prestazioni dello stesso livello qualitativo di quelle offerte dalle Regioni benchmark.
Il secondo scenario replica il primo, con un’unica variante: per le Regioni utilizzate come benchmark e per quelle che, dopo la standardizzazione, riceverebbero
risorse superiori a quelle di consuntivo contabile, si adotta direttamente la spesa di consuntivo contabile come fabbisogno aggregato standardizzato. Queste Regioni sono: Emilia Romagna, Lombardia, Toscana Veneto, Umbria, Marche. Sul piano metodologico – spiegano infatti i ricercatori – si può accettare la scelta che le Regioni adottate come benchmark o assimilabili al benchmark, che già realizzano le condizioni di efficienza e qualità, non debbano compiere azioni correttive. Secondo questo secondo scenario lo scostamento tra spesa effettiva e spesa standard sarebbe di 5,7 miliardi di Euro.
fonte: quotidianosanita.it
03 novembre 2010