Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E non risparmiano colpi proibiti. La tempestosa disgregazione del sistema di potere galaniano sprigiona cause milionarie contro l’amministrazione regionale di Luca Zaia, rea (così almeno si evince dalle intercettazioni giudiziarie dello scandalo Mose) di aver segnato una discontinuità nella gestione dei grandi appalti. Succede allora che il Consorzio d’imprese Ptc candidato a realizzare il Centro di terapia protonica a Mestre – e costituito dalle società Medipass, Gemmo, Condotte nonché dalla multinazionale statunitense Varian – dopo aver citato in tribunale l’Ulss Veneziana per l’abbandono del progetto, quantificando in un centinaio di milioni i mancati utili, alzi il tiro e chieda i danni direttamente ai manager della sanità veneta: l’attuale dg dell’Unità sanitaria 12 Giuseppe Dal Ben e il suo diretto superiore Domenico Mantoan, direttore generale dell’area sanità-sociale della Regione.
L’addebito? Essersi opposti, con successo, alla costruzione del Centro protonico, fino alla revoca del contratto – 159,575 milioni anticipati dai privati e rimborsati dall’Ulss con 738 milioni spalmati in 19 anni – sottoscritto da Antonio Padoan (il predecessore di Dal Ben) il 29 luglio 2011. Quest’ultimo, uomo di fiducia di Giancarlo Galan, si è battuto con tenacia in favore dell’opera né il suo atteggiamento è cambiato a fronte dei rilievi della Corte dei Conti (che giudicava troppo oneroso il project financing stipulato) e dall’altolà della nuova giunta zaiana che, attraverso un delibera, escludeva il fatidico Centro dalla programmazione sanitaria regionale, giudicandolo eccessivamente gravoso per un’Ulss già indebitatissima e priva di un bacino potenziale di pazienti sufficiente ad ammortizzare la spesa, perché il “bombardamento” di fasci protonici (utilizzato nella terapia cura di alcune tipologie di tumore cerebrale e alla prostata) è già praticato negli ospedali di Pavia e a Trento, disponibili ad accogliere i malati veneti in regime di convenzione, garantendo così l’erogazione del servizio.
Qual è allora la “colpa” di Dal Ben? L’aver adempiuto alle direttive della Regione, annullando il pingue contratto. Scontata l’irritazione del Consorzio – rappresentato dallo studio legale Guarino di Roma – e comprensibile, almeno entro certi termini, la sua richiesta di risarcimento per le spese sostenute invano, tanto più che in precedenza l’autorità regionale aveva dato il via libera all’iter con la benedizione del ministero della Salute; meno chiaro il motivo che ha determinato il nuovo ricorso al Tar (esteso allo Iov) e il j’accuse nei confronti dei manager. Una chiave di lettura la propone il governatore Zaia: «È un tentativo di intimidire i nostri funzionari onesti che, nella sanità e in molti altri ambiti, a cominciare dai lavori pubblici, ci hanno aiutato a voltare pagina rispetto a un passato che ora ben conosciamo. Lo definirei il colpo di coda del dinosauro, destinato a scarsa fortuna però: sia ben chiaro tutti, noi non abbandoneremo mai le persone perbene che operano nell’interesse esclusivo dei veneti». Laconico il commento di Mantoan: «Io lavoro al servizio della sanità pubblica nel rispetto delle regole. Se qualcuno pensa di spaventarmi facendo la voce grossa, si sbaglia»
Il Consiglio è solidale con i due manager citati per danni al Tar
Totale solidarietà e fiducia dalla commissione sanità del Consiglio veneto ai due manager della sanità veneta, il direttore generale Domenico Mantoan e quello generale dell’Ulss 12 Giuseppe Dal Ben, citati davanti al Tar per danni dal consorzio di imprese candidatosi a realizzare il Centro protonico di Mestre per la cura dei tumori. La commissione guidata da Leonardo Padrin (Forza Italia), con voce unanime, sottolinea «La capacità, l’onestà e la professionalità” deiirigenti chiamati in giudizio per aver dato seguito alla decisione della Regione di abbandonare il progetto». «Il parere della commissione è sempre stato contrario alla realizzazione di questa struttura, giudicata già nel 2011, quando la commissione vi dedicò un attento e documentato esame, di dubbia utilità e di incerta sostenibilità economica», fa sapere Padrin. L’11 aprile di tre anni fa, infatti, la commissione chiese una “pausa di riflessione” sull’iter del progetto, al fine di mettere a fuoco la sostenibilità economica del piano, che avrebbe impegnato la Regione Veneto a spendere quasi 800 milioni di euro in 19 anni, e sollevò dubbi sulla «validità scientifica di un tipo di cure che sembrano efficaci e risolutive solo per un numero estremamente ridotto di pazienti».
Il Mattino di Padova – 30- 31 ottobre 2014