Il Corriere del Veneto. Sono diventati famosi perché hanno guarito rapidamente dal Covid-19 e, sembra, senza conseguenze, l’ormai ex presidente americano Donald Trump. Partiti dopo i vaccini, ora gli anticorpi monoclonali rappresentano la nuova frontiera della ricerca, aperta dal buon esito della somministrazione ai pazienti più gravi colpiti dal coronavirus del sangue iperimmune, appunto ricco di anticorpi, donato dai guariti. All’esordio americano, che coinvolge anche Glaxo SmithKline, insieme a Vir Biotechnology impegnata in uno studio su sicurezza ed efficacia di un anticorpo monoclonale nel trattamento di adulti ospedalizzati con Covid-19, si affianca la prima sperimentazione italiana. Partirà a metà gennaio al Centro di ricerche cliniche di Verona e all’Istituto Spallanzani di Roma, che già collaborano al protocollo sul vaccino italiano anti-Covid prodotto dalla romana Reithera.
Le due strutture sono state scelte dalla Fondazione Toscana Life Sciences per testare l’anticorpo monoclonale frutto della ricerca condotta nei mesi scorsi dal MAD (Monoclonal Antibody Discovery) Lab e prodotto da Menarini Biotech di Pomezia. «Ci è stata affidata la fase 1 dello studio — spiega il dottor Stefano Milleri, direttore del Crc veronese — valuterà la sicurezza della terapia su un gruppo di persone sane tra 18 e 50 anni. I primi due dei quattro volontari assegnati allo Spallanzani assumeranno gli anticorpi monoclonali a metà gennaio e a distanza di 48 ore cominceremo la somministrazione ai nostri otto. A tutti e dodici sarà iniettato il dosaggio più basso e se il farmaco sarà ben tollerato e si rivelerà efficace, altri dodici volontari assumeranno la dose più alta. Tutti verranno poi monitorati per sei mesi, così da capire per quanto tempo gli anticorpi resteranno in circolo. Si presume tra 6 e 8 mesi, contro i due-tre di sopravvivenza di quelli naturali».
Gli anticorpi monoclonali sono ricavati in laboratorio da quelli prelevati dal plasma dei pazienti guariti dal Covid-19. «Da migliaia di anticorpi naturali si selezionano i tre-quattro più potenti, che vengono replicati in laboratorio con alcune modifiche atte a garantirne appunto una maggiore sopravvivenza e sicurezza — illustra Milleri —. La nostra ricerca prende in esame soggetti sani per appurare la doppia potenzialità della terapia, cioè la funzione di prevenire la malattia e anche di curarla (nel giro di 2-3 giorni se somministrati nella fase iniziale della patologia, ndr )». Ma allora perché tutto il mondo sta investendo miliardi per mettere a punto i vaccini, se anche gli anticorpi monoclonali possono proteggere dall’infezione? «I due prodotti funzionano con meccanismi diversi — avverte il direttore del Centro di Verona — il vaccino anti-Covid richiede una seconda dose a distanza di 21 giorni, quindi induce lo sviluppo di anticorpi dopo 2-4 settimane. Però il suo effetto dura almeno un anno. Con gli anticorpi monoclonali la protezione inizia a 24 ore dall’assunzione, ma si limita a sei mesi. Poi l’effetto finisce».
La sperimentazione italiana si distingue perché, fa sapere la Fondazione Toscana Life Sciences, mentre gli altri anticorpi monoclonali autorizzati, compresi quelli assunti da Trump, vanno somministrati solo in ospedale attraverso flebo, quelli da testare a Verona e a Roma sono molto più potenti e quindi richiedono una semplice iniezione. Perciò un domani, se il ministero della Salute lo riterrà opportuno, potrebbero essere assunti anche a casa. Ma prima va conclusa, per fine febbraio, la prima fase. Poi partirà la seconda, che coinvolgerà una decina di centri in Italia, sempre coordinati dallo Spallanzani.
Intanto è terminata senza effetti collaterali importanti la Fase 1 della sperimentazione del vaccino Reithera su 90 volontari, 45 tra 18 e 55 anni e altrettanti over 65. Ora si passerà alla Fase 2, cioè al test su 900 soggetti reclutati in tutta Italia, quindi alla Fase 3, che ne interesserà almeno 30mila nel mondo.