Repubblica. Prima i più deboli e i più a rischio, si diceva così all’inizio della campagna vaccinale. I più deboli, cioè gli ospiti delle residenze per anziani, e i più a rischio, ossia medici e infermieri a contatto con i malati Covid. E non lo si diceva per caso: proteggerli significava salvar loro la vita e, dunque, ridurre la pressione sul sistema sanitario. Le cose, invece, stanno andando troppo spesso al contrario. Per questo i carabinieri del Nas stanno acquisendo in diverse Regioni l’elenco dei vaccinandi, per verificare se, nella compilazione, ci sono stati abusi tali da configurare ipotesi di reato.
L’ultimo aggiornamento indica che, sul totale di 701.623 vaccinati, abbiamo 558.155 operatori sanitari e sociosanitari, 47.488 ospiti delle strutture residenziali (Rsa) e ben 95.980 soggetti classificati «personale non sanitario». Categoria sufficientemente generica per inglobare tutti coloro che, indipendentemente dall’età, gravitano nell’universo delle Asl e degli ospedali: gli amministrativi che lavorano in ufficio, gli addetti alla manutenzione e alle pulizie, i manager, i cuochi e i camerieri delle mense, i centralinisti, gli uscieri, gli specialisti che non lavorano direttamente con i contagiati. Oltre ovviamente ai furbi: gli amici degli amici, le mogli dei dottori, politici locali, qualche fortunato dell’ultimo minuto. Una parata di saltafila che raccontiamo in questa pagina. Nelle intenzioni di chi l’ha pensata e progettata, la Fase 1 della campagna doveva avere un altro andamento, privilegiare i più vulnerabili e riservare una quota minore ai «non sanitari». Che invece oggi sono il doppio degli anziani delle Rsa.
Intendiamoci, ogni persona vaccinata in più è in sé una buona notizia. Ma visto che le fiale sono contingentate e i produttori (Pfizer- BionTech e, da oggi, anche Moderna) fanno fatica a distribuire milioni di dosi in tutta Europa con la velocità che la crisi pandemica necessiterebbe, governo e struttura commissariale avevano indicato alle regioni delle priorità. Che sono state ribaltate.
Repubblica ha avuto accesso ai dati scorporati regione per regione, aggiornati alle 19 di ieri sera, che non compaiono nel cruscotto pubblicato dalla struttura del commissario Arcuri. Andiamo con gli esempi: in Campania, su 68.138 vaccinati ci sono 1.262 anziani delle Rsa e 10.583 di personale non sanitario; in Calabria 10.940 vaccinati di cui 1.190 non sanitari e zero Rsa; in Sicilia 61.694 vaccinati di cui 1.328 ospiti delle case di riposo e 8.719 non sanitari; nelle Marche hanno vaccinato appena 145 ospiti Rsa e 1.834 non sanitari; nel Lazio su 66.773 vaccinati 6.019 sono non sanitari e 4.356 gli anziani; in Lombardia 69.712 vaccinati, 10.397 personale non sanitario, appena 1.631 anziani delle case di riposo; infine il caso limite dell’Emilia Romagna, dove a fronte di 71.293 somministrazioni, 4.765 sono state dedicate alle Rsa e 21.341, quattro volte di più, ad amministrativi, dipendenti, pulitori, impiegati.
Il risultato è che la fascia di età più coperta è quella 50-59 anni (195 mila somministrazioni), contro i 16 mila della 70-79, i 20 mila della 80-89 anni, i 15 mila della over 90. Poiché vaccinare tutti gli ultraottantenni può diminuire, secondo alcune stime, il tasso di morti per Covid del 50 per cento, al governo si fa strada l’ipotesi di includerli nella prima fase della campagna (adesso il loro inserimento negli elenchi è a fine febbraio). Si valuta anche di anticipare la somministrazione agli insegnanti, per accelerare la riapertura delle scuole.
L’inversione delle priorità, messa in evidenza dai dati scorporati per regione, preoccupa il ministero della Salute, anche perché nelle prossime settimane il sistema dovrà gestire un numero sempre maggiore di fiale. Tra ieri e oggi i camion della Pfizer consegneranno altre 470 mila dosi e per le 12 di stamani è atteso presso la sede dell’Istituto superiore di sanità il primo furgone col vaccino di Moderna: 47 mila dosi, a cui se ne aggiungeranno altre 47 mila la prossima settimana.
Il prete, il manager, la zia. Il popolo dei saltafila nella corsa all’immunità
Don Umberto, parroco di Modica, 81 anni tra due settimane, la racconta candidamente così: «Mi ha chiamato un amico che lavora come amministrativo nel pool di vaccinazione a Scicli, mi ha detto che c’erano dei vaccini in più che bisognava utilizzare entro due giorni e sono andato. Sono ultraottantenne, ho altre patologie e ho capito che alla Asl non avevano una lista di persone da chiamare ». Il giorno dopo, dietro la porta del centro di vaccinazione della Rsa della vicina Scicli, c’era una calca di 150 persone, molte delle quali arrivate da Modica a caccia di qualche dose “avanzata”. A far partire involontariamente il passaparola proprio don Umberto: «Sì, l’ho detto io nella messa dell’Epifania che c’era questa opportunità. Non mi pareva che fosse una cosa sbagliata, ho incontrato anche due ragazzi quella sera che si vaccinavano».
Dalla Sicilia alla Puglia, dalla Campania all’Emilia Romagna, si scopre che nelle fila delle categorie con massima priorità (operatori della sanità e ospiti delle Rsa), ma anche nella falla dei residui inutilizzati delle fiale, si sono già inserite diverse migliaia di persone, persino più di 1.400 giovanissimi tra i 16 e i 19 anni, che non avrebbero avuto alcun diritto a essere immunizzati prima delle persone più fragili o esposte.
«Operatori sanitari e sociosanitari in prima linea» e «personale e ospiti dei presìdi residenziali per anziani », recitano vagamente le linee guida del ministero della Salute per le categorie che hanno diritto alla somministrazione prioritaria. Ma le Regioni hanno fatto ognuna come gli pare. A Bologna, ad esempio, hanno già vaccinato i lavoratori multiservizi delle ditte che hanno in appalto alcuni servizi sanitari ospedalieri, a Bari gli addetti alle pulizie e persino i loro familiari che poi hanno comunicato l’avvenuta vaccinazione al loro medico di famiglia, allibito perché lui, invece, ancora non è neanche in lista.
Conquistare una dose di Pfizer è una medaglia da esibire. Le foto sui social con il bollino “Fatto vaccino anticovid 19” si sprecano. E non sono certo tutti «operatori sanitari e sociosanitaria in prima linea» quelli che dichiarano apertamente di aver saltato la fila. Professori universitari e manager, dirigenti amministrativi e impiegati, segretari e collaboratori di studi. Basta avere in qualche modo a che fare con la parola sanità e avere un medico in famiglia per andare a bussare alla porta dei centri di vaccinazione alla ricerca di un amico.
A Brindisi, spulciando nei registri dei vaccinati, sono venuti fuori i nomi di una decina di mogli di medici in pensione, come ha dichiarato lo stesso direttore generale della Asl, Giuseppe Pasqualone. Lo scongelamento “per errore” di tutta la scorta dell’ospedale avrebbe costretto i vaccinatori ad allargare la platea dei fortunati per non sprecare le fiale.
Davanti all’evidenza dei fatti, rispondono tutti così i vaccinatori colti in castagna: «Avanzavano dosi, piuttosto che buttarle…». Perché, ovviamente, sono loro a contattare gli amici che non possono inserirsi nella regolare compilazione dei moduli online riservati alle categorie con alta priorità. Ed ecco, ad esempio, dai registri degli ospedali di Bari e della Bat venire fuori i nomi di operatori scolastici, poliziotti (la questura ha aperto un’inchiesta interna), soggetti istituzionali. Ancora a Bari, ecco le fiale per cento giovanissimi studenti del corso di laurea in scienze infermieristiche, e così a Catania sei studenti universitari, scelti come simbolo (ma di che?) dal rettore dell’Università, sono stati tra i primi vaccinati. E poi rettori, manager di aziende sanitarie, dirigenti amministrativi, informatori scientifici. Nei piccoli centri, come Polizzi sulle Madonie, più di un amministratore non ha resistito alla tentazione di imitare il governatore campano De Luca e saltare la fila.
A Napoli, nelle lunghissime file di medici sotto la pioggia ad attendere il vaccino, decine di infiltrati. Alla Mostra d’Oltremare ne hanno smascherati 41: tra loro, un noto avvocato e mogli, fidanzate, figli di medici spacciati come collaboratori di studi medici. A quelli veri, prima di iniettare la dose, è stato persino chiesto di esibire la busta paga.