Gli italiani non si muovono più da collettivo, ma da singoli e in gruppi, piccoli o locali. Il risparmio ha fatto da scialuppa di salvataggio nella crisi, le nuove spese tornano ad andare. L’Italia è ferma, immersa in un “letargo esistenziale collettivo”, la politica tenta di “trasmettere coinvolgimento e vitalità al corpo sociale”, ma non ci riesce. Una sorta di “limbo italico”, dice il presidente del Censis Giuseppe De Rita, citando Filippo Turati, fatto di “mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone”.
Eppure, osserva il Rapporto Censis 2015, gli italiani si muovono, non più come collettività, certo non dentro un “progetto generale di sviluppo” che non esiste più da tempo, ma da singoli, all’interno magari di piccoli territori, o di piccoli gruppi sociali. Mettono a reddito il patrimonio immobiliare (560.000 bed&breakfast con un rispettabile fatturato di 6 miliardi di euro), inventano nuove forme di imprenditoria all’insegna dell'”ibridazione”, coniugando gastronomia e turismo, design e artigianato, moda e piattaforme digitali. I giovani partono, le famiglie ricominciano ad acquistare case e beni durevoli, privilegiando in particolare auto ed elettrodomestici.
E poi usano l’home banking, sperimentano le forme più innovative di sharing economy, si attrezzano, producono. Senza mettersi in gioco fino in fondo però: nelle banche giace quasi inoperosa una montagna di risparmi, un “cash cautelativo” che supera i 4.000 miliardi, molti depositi e contanti, sempre meno azioni e partecipazioni. Soldi “pronti all’uso nel brevissimo periodo”, l’unica destinazione possibile in un Paese che ha perso la capacità di “progettazione per il futuro” e di “disegni programmatici di medio periodo”. Vince “la pura cronaca”, la capacità d’inventarsi di giorno in giorno. Una società “a bassa resistenza e con scarsa autopropulsione”, conferma il direttore del Censis Massimiliano Valerii: “Lo testimoniano anche i dati economici, a cominciare dall’inflazione. Eppure emerge una piattaforma di ripartenza e ricostruzione del nostro apparato produttivo, attraverso driver d’innovazione. Chi sono i vincenti? Coloro che in questa fase di ristrettezza piuttosto che trincerarsi dietro una posizione difensiva hanno colto le opportunità della globalizzazione, a cominciare da quelle offerte dall’esportazione”
Certo, a uno sguardo più severo il Paese può apparire ancora in declino, nonostante i tanti segnali di ripartenza: della “spensierata stagione del consumismo”, osserva De Rita, rimane solo “la medietà del consumatore sobrio”, della “lunga stagione del primato delle ideologie” rimane “l’empirismo continuato della società che evolve”. Qualcosa dell’Italia migliore rimane: “lo scheletro contadino”, che però non è mero attaccamento alle radici. Insomma, conclude De Rita, “è come quando, girando per il Paese, tu chiedi a qualcuno come va: lui ti dice che va tutto male, il lavoro, la macchina, la moglie. E allora tu chiedi: e il resto? E la risposta è sempre: il resto va bene. Ecco, l’Italia è così: il resto ha dentro di sé un’energia misteriosa, ed è quella che dà la scossa, la voglia di fare. Il resto ha una sua implicita superiorità”.
Il risparmio, scialuppa di salvataggio. Mentre la crisi impoveriva il Paese, tra il giugno del 2011 e il giugno del 2015, nei depositi delle banche sono arrivati 401,5 miliardi di euro. Mentre il Pil crollava il patrimonio finanziario degli italiani è cresciuto del 6,2% in termini reali. Contanti e depositi sono saliti dal 23,6% del totale nel 2007 al 30,9% del 2014, le assicurazioni e i fondi pensioni sono passati dal 14,8% al 20,9%, i fondi comuni sono passati dal 9,1% al 10,9%, azioni e partecipazioni sono crollate dal 31,8% al 23,7% e le obbligazioni dal 17,6% al 10,8%. Negli ultimi 12 mesi sono riuscite a risparmiare 10,6 milioni di famiglie: a scopo cautelativo, per finanziare la formazione dei figli, per i bisogni della vecchiaia, per paura di perdere il posto di lavoro. E d’altra parte molti ancora hanno attinto ai risparmi, negli ultimi 12 mesi 3,1 milioni di famiglie li hanno usati “per fronteggiare gap di reddito rispetto alle spese mensili”.
Si spende di nuovo: più mattone…Se gli italiani rifuggono più che mai dagli investimenti rischiosi, come quelli in azioni e obbligazioni, però hanno ricominciato ad acquistare beni di valore, segno comunque di una rinnovata fiducia nell’andamento dell’economia. Tra gennaio e ottobre di quest’anno le richieste di mutui sono cresciute del 94,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (anche se circa un terzo finanziano surroghe, e non nuovi acquisti di abitazioni), e le compravendite immobiliari sono aumentate del 6,6% nel secondo trimestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Certo, cresce anche l’insofferenza verso i contributi pubblici: il 55,3% degli italiani vorrebbe pagare meno tasse, per avere una maggiore disponibilità di reddito.
…e beni durevoli. Tornano anche gli acquisti di beni durevoli, in forte declino tra il 2007 e il 2013. In particolare le intenzioni di comprare nuove auto quest’anno risultano più che raddoppiate rispetto all’anno precedente, tanto che se si concretizzassero nel 2016 le immatricolazioni tornerebbero ai valori del 2008, un milione e mezzo. Quasi tre milioni id famiglie dichiarano che nel 2016 compreranno un elettrodomestico nuovo, molti intendono acquistare mobili e ristrutturare la propria abitazione. E’ tornato l’ottimismo: il 39,8% dichiara di aver fiducia nel futuro contro il 22,4% che ancora non vede segnali positivi e il 37,8% ancora incerto.
Il lavoro: un rimbalzo parziale e “selettivo”. Non si può negare che quest’anno ci sia stata una ripresa dell’occupazione: il Censis però osserva le cifre con la lente d’ingrandimento e rileva che intanto mancano ancora all’appello, rispetto al 2008, 551.000 posti di lavoro, tanto che il tasso di disoccupazione è all’11,9% contro il 6,7% di otto anni fa. Ma l’aspetto più grave è che si registra un crollo dell’occupazione giovanile: ad aumentare davvero sono stati “per decreto” i lavoratori anziani, tra i 55 e i 64 anni, sono passati dai 2,5 milioni del 2008 ai 3,5 milioni attuali, e continuano a crescere. Ci sono 2,2 milioni di Neet, 783.000 sottoccupati, 2,7 milioni di lavoratori in part-time involontario. Eppure molti sono costretti a strafare: 10,3 milioni nell’ultimo anno hanno lavorato oltre l’orario formale senza il pagamento degli straordinari, 4 milioni hanno arrotondato con piccoli lavoretti saltuari.
Il nuovo capitalismo “ibrido”. Vince chi esporta (l’export vale il 29,6% del Pil), chi riesce a inventare “un nuovo stile italiano” attraverso l'”ibridazione”, la trasformazione dei settori trazionali, di cui design e moda sono l’archetipo, sostiene il Censis: coniugano “qualità, saper fare artigiano, estetica, brand”. I settori vincenti: i produttori di macchine e apparecchiature, con un surplus di 50,2 miliardi di euro nel 2014, l’agroalimentare, con un aumento del 6,2% dell’esport nei primi otto mesi di quest’anno, l’abbigliamento, la pelletteria, i mobili, i gioielli. E poi un settore “trasversale per vocazione”, quello creativo-culturale, con 43 miliardi di export.
Il restringimento del welfare. In una società sempre meno coesa, anche il welfare si riduce, per effetto dei tagli della spesa pubblica. La spesa sanitaria nell’ultimo anno si è attestata a 110,3 miliardi contro i 112,8 del 2010. Il risultato è il “fai-da-te” per chi può permetterselo: la spesa sanitaria privata delle famiglie è passata dai 29,6 miliardi di euro del 2007 ai 32,7 del 2014, raggiungendo il 22,8% del totale. Chi non ce la fa arranca: 7,7 milioni si sono indebitati o hanno chiesto un aiuto economico per far fronte a spese sanitarie private. E chi proprio non riesce neanche a indebitarsi rinuncia: nel 66,7% delle famiglie a basso reddito almeno un compomponente l’anno scorso ha dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie, o ha dovuto rinviarle.
Gli immigrati verso il ceto medio. Tra il 2008 e il 2014 in Italia i titolari d’impresa stranieri sono aumentati del 31,5%, soprattutto nel commercio, e mentre le imprese guidate da italiani diminuivano del 10,6%. Un indicatore, suggerisce il direttore
del Censis Massimiliano Valerii, del fatto che “gli stranieri in Italia inseguono una traettoria di crescita verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di concentrazione etnica e disagio sociale che caratterizzano le periferie di Londra o Parigi”.
Repubblica – 4 dicembre 2015