Flavia Bustreo, huffingtonpost.it. Il nostro Servizio Sanitario Nazionale, che ha da poco compiuto 40 anni, vanta una storia di eccellenza e risultati in Europa e nel mondo. Nato dalla riforma del 1978, guidata dalla Ministra Anselmi, il nostro SSN è il frutto di un progetto ambizioso che ha visto l’Italia tra i primi paesi a tutelare il diritto alla Salute in
un’accezione universale e non discriminatoria, come specificato nella nostra Costituzione prima ancora che in quella della Organizzazione Mondiale della Sanita’
Fulcro del sistema le cure primarie e l’assistenza di base che sono diventate un modello esportato anche all’estero e soprattutto in paesi in via di sviluppo come il Brasile che con il suo programma de Saude de Familia ha tentato di emulare il nostro SSN. Tuttavia, anni di primato sono stati utilizzati come giustificazione per definanziare e quindi depotenziare il sistema, al punto da crearne delle fratture irreversibili. Infatti, secondo il quarto rapporto sulla sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale 2019 della Fondazione GIMBE, nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al SSN poco più di € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per la sommatoria di varie manovre finanziarie e € 12,11 miliardi nel 2015-2019 per la continua rideterminazione al ribasso dei livelli programmati di finanziamento.
Infatti attualmente l’Italia è fanalino di coda nei paesi del G7 per finanziamenti alla sanità pubblica (3.272 dollari contro la media di 3.814 dollari, dati OCSE), ma seconda per spesa a carico dei cittadini.Si stima che siano circa quasi 4 milioni gli Italiani in difficoltà per le spese sanitarie out of pocket. Di questi, 300.000 dicono di essersi impoveriti a causa di spese socio-sanitarie; 1 milione ha sostenuto spese sopra il proprio reddito; ed e’ salito a 12,2 milioni il numero di persone che nell’ultimo anno hanno rinunciato o rinviato almeno una prestazione sanitaria per ragioni economiche (1,2 milioni in più rispetto all’anno precedente). E non solo il finanziamento, ma anche la programmazione sanitaria stessa richiede azioni mirate e concrete. Infatti, si stima che un terzo dei medici di famiglia oggi in servizio andrà in pensione entro il 2023. Nonostante le evidenze circa l’invecchiamento del personale sanitario e dei medici in particolare, nulla è stato finora realizzato per evitare che tra pochi anni milioni di cittadini italiani si trovino senza medico di famiglia, curati in ospedale da medici sempre più anziani e in reparti sempre più in carenza di organici.
A questo si accompagna l’enorme sforzo di laureare ogni anno circa 10.000 nuovi medici e l’incomprensibile diniego di dare a tutti uno sbocco lavorativo, limitando a solo poco più di 6000 all’anno di questi la possibilità di proseguire il percorso formativo nelle scuole di specializzazione piuttosto che nel triennio di formazione in medicina generale; così ogni anno si “producono” circa 4000 medici destinati o all’emigrazione o allo sfruttamento del lavoro sottopagato. E tutto questo a fronte della carenza di medici che ci attende da qui a pochi anni. Questo a fronte di nuove emergenze”sociali” quali la denatalità e il progressivo invecchiamento della popolazione che imporranno un paradigma radicale nell’erogazione dei servizi, al quale si aggiunge il crescente divario tra regioni del nord e regioni del sud, acuito dalla forte decentralizzazione. Tra le soluzioni da proporre si impone primariamente un massiccio rifinanziamento della sanità in linea con gli standard europei. In secondo luogo una revisione della gestione dei costi e una regolamentazione dei 35 miliardi di spesa sanitaria privata, per meglio tutelare i consumatori, integrandola con le prestazioni del SSN per evitare sovrapposizioni o gap informativi.
Per quanto riguarda la questione del personale sanitario, servirebbe una nuova visione “antropocentrica”, che riporti al centro del sistema il personale e abbandoni la gestione aziendale del nostro SSN.
In concreto si tradurrebbe in un aumento del numero dei posti in Scuola di Specialità e nella Formazione dei Medici di Medicina Generale così da assorbire la totalità dei neolaureati di ogni anno e contrastare la carenza di medici prossima ventura, anche ricavando le borse di studio da prestiti d’onore che i medici potranno rifondere appena inseriti nel ciclo lavorativo. Ma soprattutto si tratterebbe di attivare una valorizzazione delle competenze con incentivazioni alla carriera professionale del personale sanitario rinnovando i contratti di lavoro a livello nazionale e introducendo la flessibilità dell’orario di lavoro che possa conciliare lavoro-famiglia e permettere la carriera delle donne che, tra l’altro, sono già prevalenti nel personale sanitario. La stabilizzazione del precariato e
inserimento dei giovani operatori sanitari sarebbe un ulteriore passo.
Si rende infatti necessaria una profonda riflessione per trovare una soluzione a una crisi silenziosa che è già alla porte.
https://www.huffingtonpost.it/entry/ce-speranza-per-il-nostro-sistema-sanitario-nazionale_it_5dbed03be4b0fffdb0f833f7?utm_hp_ref=it-homepage&ncid=other_homepage_tiwdkz83gze&utm_campaign=mw_entry_recirc