Il disegno di legge delega per la revisione del sistema fiscale, varato dal Governo lo scorso autunno, ed arrivato quasi al completamento del suo iter parlamentare, -approvato dalla Camera, era già in discussione in Commissione Finanze del Senato-, con la caduta del Governo diventa carta straccia. L’articolato non conteneva solamente la revisione del sistema fiscale, ma anche la semplificazione delle rendite finanziarie. Per quanto riguarda la tassazione sul risparmio la novità, rispetto alle diverse proposizioni precedenti, era quella di individuare la progressiva armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio anche con riferimento alle basi imponibili tenendo conto dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione di imposta.
Attualmente la tassazione dei titoli di Stato è prevista al 12,5 %, le plusvalenze sugli investimenti al 26 %. Le ipotesi di calcolo su cui, se si avesse avuto il tempo dei decreti delegati su cui confrontarsi, prevedevano una doppia aliquota al 15 e al 23 %. La riformulazione prevedeva, anche, l’aumento del “grado di neutralità fiscale”, una misura nata dall’idea che imponendo aliquote diverse, come accade ora, si influenzano le scelte sull’allocazione degli investimenti.
Alcune forze politiche ( Forza Italia ) , avevano auspicato e proposto, addirittura, di azzerare le tasse sui risparmi, facendo in modo che venissero volontariamente investiti nell’economia reale del Paese per sostenere la patrimonializzazione delle nostre imprese, creando così sviluppo, benessere e posti di lavoro in Italia. Il testo governativo, pur limitandosi (art.3* ) ad indicare “ l’armonizzazione dei regimi di tassazione del risparmio tenendo conto dell’obiettivo di contenere gli spazi di elusione ” , dava la stura alla volontà del Governo di riformare il davvero complicato sistema di tassazione dei redditi da capitale. Con la sottointesa equiparazione di tutti i rediti di natura finanziaria puntava, anche, ad ammettere la deducibilità delle minus- valenze nei confronti di eventuali redditi positivi di capitale. Il dettato poneva fine all’astrusa condizione prevista attualmente per i Fondi comuni, di non poter compensare i proventi positivi, considerati redditi da capitale , con eventuali minusvalenze , redditi diversi, realizzate dai medesimi fondi.
Ma la condizione ancora più grave della mancata applicazione del disegno di legge governativo riguarda le Casse previdenziali privatizzate.
Oggi gli istituti pensionistici privatizzati, da una parte, vengono considerati alla stregua dei fondi pensioni e dall’altra come organismi pubblici. Da questo nasce la doppia tassazione delle Casse privatizzate (al 26% sui rendimenti e la tassazione sulle prestazioni), che si configura come un “unicum in Europa”. Non è possibile tassare le Casse di previdenza dei liberi professionisti alla pari degli speculatori. Non è etico tassare chi provvede a garantire la pensione a quasi 2 milioni di professionisti, alla pari di chi gioca in borsa. Basti pensare alla pressione fiscale imponente : nel 2021 le Casse di previdenza privatizzate e private hanno pagato al’ Erario 765 milioni di euro di fiscalità, di cui il 91% cioè 691 milioni di euro riferibili agli investimenti mobiliari. L’Enpam fa la parte del leone, pagandone circa un terzo.
L’insidia nasce dal fatto che le Casse privatizzate sono ritenute fiscalmente enti non commerciali ex art. 73, comma 1, lett. c) e art. 74, comma 2, lett. b, t.u.i.r. E che quali enti non commerciali le Casse sono soggetti IRES su una base imponibile formata dai redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, determinati ai sensi degli artt. 143 e 144 del t.u.i.r. (cfr. anche circolare 27 aprile 2016, n. 14/E dell’Agenzia delle Entrate), così applicandosi l’aliquota IRES ordinaria del 24 %, non rientrando peraltro, fra i soggetti cui spetta l’aliquota IRES ridotta al 50% (art. 6, d.P.R. n. 601/73). Inoltre, per quanto concerne, in particolare, i redditi di capitale e diversi, le Casse sono soggette a ritenute alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva, nella misura del 26 %.
L’articolo 3* della legge delega per la revisione del sistema fiscale, stoppato dalla caduta del Governo, recava, infatti, i principi e i criteri direttivi specifici concernenti la revisione dell’IRES e della tassazione del reddito d’impresa. In particolare, facendo riferimento alla semplificazione e razionalizzazione della tassazione del reddito d’impresa, interveniva, anche, attraverso un rafforzamento del processo di avvicinamento tra valori civilistici e fiscali. Particolare attenzione veniva posta alla disciplina degli ammortamenti e alla revisione dei costi parzialmente e totalmente indeducibili , alla revisione della disciplina delle variazioni in aumento e in diminuzione apportate all’utile o alla perdita risultante dal conto economico per determinare il reddito imponibile
Tutto questo al fine di adeguare le norme ai mutamenti intervenuti nel sistema economico, allineando tendenzialmente la disciplina a quella vigente nei principali Paesi europei e alla tendenziale neutralità tra i diversi sistemi di tassazione delle imprese, per limitare distorsioni di natura fiscale nella scelta delle forme organizzative e giuridiche dell’attività imprenditoriale .
Speriamo che questi intendimenti possano essere confermati anche in futuro.