Le Casse di previdenza dei professionisti hanno vinto la scommessa lanciata dall’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e quasi tutte sono riuscite a riformarsi per garantire la stabilità a cinquant’anni.
Un successo importante che nessuno ha avuto il tempo di festeggiare. I problemi da affrontare sono ancora troppi per dirsi soddisfatti dei risultati. La prima grande preoccupazione riguarda ora l’adeguatezza delle prestazioni. La questione interessa soprattutto quei professionisti che andranno in pensione con il calcolo contributivo e va risolta oggi per non diventare un grave problema sociale domani (i professionisti in Italia sono più di un milione e mezzo).
Le Casse ne sono consapevoli e non sono state a guardare. Lo ha fatto, a esempio, la Cassa dei Dottori commercialisti, tra le prime, dieci anni fa, a deliberare il passaggio al sistema di calcolo contributivo consapevole che nel lungo periodo il sistema non avrebbe tenuto. L’obiettivo era di ridurre, almeno in parte, la forbice tra vecchi e nuovi iscritti, attraverso l’introduzione di un contributo di solidarietà per i pensionati e un calcolo meno vantaggioso sul retributivo già maturato. Una scelta dettata dalla necessità di calmierare in parte i vantaggi di cui godevano le vecchie generazioni; alcuni iscritti “anziani” però non hanno accettato di buon grado questi interventi e si sono rivolti alla magistratura. Queste scelte si sono scontrate con l’opposta interpretazione dei tribunali del comma 763 della legge 296/2006. Forse la soluzione a questo problema arriverà con l’approvazione della legge di stabilità per il 2014.
Il passaggio al contributivo è stato poi seguito da molti altri enti per rispettare la stabilità a cinquant’anni. Interventi al rialzo sono anche stati fatti sui contributi e sull’età pensionabile. Ma non è sufficiente. Servono risorse per aiutare i giovani ad avviare la professione, fondi per tutelare i lavoratori autonomi nei momenti di crisi o nelle situazioni contingenti (come calamità o malattia), più risorse per il welfare.
È difficile però, e i presidenti di tutte le Casse lo sanno bene, studiare strategie di mediolungo periodo per mettere in sicurezza i conti, far fruttare il capitale pensionistico di ogni iscritto, e creare un welfare forte quando quotidianamente ci si trova a dover combattere sempre nuove battaglie e a difendere il proprio patrimonio.
Tassazione dei rendimenti
Tra gli annosi problemi la cui soluzione sembra lontana ricordiamo l’eccessiva pressione fiscale sui rendimenti, tassati al 20% come se si trattasse di un qualunque investitore privato (un trattamento diverso viene invece adottato sui fondi integrativi). Vien quasi da sorridere se si pensa che fino al 2011 la tassazione dei rendimenti finanziari era del 12,5% e molti politici erano favorevoli (almeno a parole) ad abbassarla all’11% come per i fondi pensione del secondo pilastro.
L’elenco Istat
C’è l’elenco Istat che mette spesso gli enti privati in difficoltà. Una storia che ha radici lontane: le Casse di previdenza privata rientrano nell’elenco Istat delle pubbliche amministrazioni che concorrono alla formazione del conto economico dello Stato, e vi rientrano perché EuroStat – l’ufficio statistico dell’Unione europea – include anche la previdenza, che però in Italia è in parte privata. Il legislatore negli ultimi anni ha preso l’abitudine di rimandare all’elenco Istat ogni qual volta è intervenuto con una norma relativa alla Pubblica amministrazione, creando non poche difficoltà alle Casse.
A questo proposito però una recente novità, un emendamento alla legge di conversione del Dl 101 approvato dal Senato l’8 ottobre, fa ben sperare. Per la prima volta, infatti, il ministero dell’Economia ha approvato l’esclusione delle Casse private dalla stretta sulle spese per le consulenze prevista per la Pa. Una presa di posizione tardiva rispetto alla prima spending review (Dl 95/2012, convertito in legge 135/2012) costata alle Casse circa 12 milioni di euro di risparmi finiti allo Stato, ma che rilancia indirettamente l’importanza di un rafforzamento del welfare delle professioni destinandogli eventuali ulteriori risparmi (articolo 10-bis Dl 76/2013 convertito, con modificazioni, dalla legge 99/2013).
Tra pubblico e privato un confine da ridefinire. Molte sentenze hanno ribadito l’indipendenza degli istituti
di Andrea Camporese. Serve un chiarimento, per il bene di due milioni di iscritti, per il bene della previdenza privata, nello stesso interesse del Paese. Ridefinire la linea di demarcazione tra pubblico e privato, troppo spesso invasa, significa fare di più e meglio l’interesse della comunità, non arroccarsi, al contrario migliorare trasparenza, efficienza e patto generazionale. Le leggi di privatizzazione degli enti di previdenza sono vigenti e chiare: autonomia di gestione fortemente vigilata dai ministeri dell’Economia e del lavoro, dalla Corte dei Conti, dalla Covip.
Il balletto che ci considera privati nella tassazione e pubblici nell’applicazione di norme di taglio della spesa destinate alla Pubblica Amministrazione deve cessare. La tassazione al 20% delle plusvalenze realizzate investendo il denaro dei professionisti, l’applicazione dell’Imu e di innumerevoli altre tasse, incidono in modo netto sulle prestazioni attese creando una inaccettabile disparità rispetto ai cittadini che versano all’Inps.
La beffa finale è il divieto, stabilito proprio all’atto della privatizzazione, di ricevere qualsiasi finanziamento dallo Stato. La stessa sentenza del Consiglio di Stato che inserisce le Casse tra le amministrazioni pubbliche rilevate dall’elenco Istat lascia intatta la natura giuridica privatistica della previdenza dei professionisti. La prova sta nelle innumerevoli sentenze, anche dello stesso Consiglio di Stato, che ribadiscono l’autodeterminazione amministrativa e previdenziale degli enti. Lo stesso ministro del Lavoro, allora presidente Istat, aveva pubblicamente sottolineato le distorsioni di un legislatore che, richiamando un elenco a puri fini statistici, in realtà ci attraeva in ambiti a noi estranei.
Di fronte a questo quadro normativo contraddittorio e inefficiente si ergono come giganti i problemi dei professionisti italiani colpiti pesantemente dalla crisi economica in assenza di qualsiasi copertura sociale dello Stato, assistiti in misura ancora non sufficiente dai loro enti.
Non porsi il tema dell’adeguatezza delle prestazioni prospettiche sarebbe un tragico errore. Non si può dire ad un giovane o meno giovane che si confronta con tutte le inefficienze di un sistema Paese, la cui previdenza è in equilibrio, che se la deve cavare da solo. Non è equo, non è solidale. Servono politiche specifiche: i temi del cuneo fiscale, della burocrazia eccessiva, dell’accesso al mondo del lavoro, della formazione, riguardano anche i nostri iscritti che spesso hanno alle spalle famiglie che hanno messo in campo enormi sacrifici.
Aver portato la sostenibilità dei nostri conti a 50 anni attraverso riforme coraggiose non è bastato a instaurare un diverso rapporto istituzionale. Oggi, anche attraverso un riconoscimento normativo sulla nostra funzione di welfare, siamo responsabilmente impegnati a far crescere un sistema di tutele specifico per i professionisti. Continuare a essere i più tassati d’Europa, confrontandoci con sistemi (francese, tedesco e molti altri) dove i rendimenti dei montanti sono esenti, rischia di frenare il sistema e creare disparità incolmabili.
Ci viene fatto notare che le nostre tasse contribuiscono al bene del Paese e sono difficilmente sostituibili. Ebbene, abbiamo più volte dimostrato che un investimento efficiente di una parte dei nostri patrimoni porterebbe a un circuito virtuoso, anche per i nostri iscritti, che sopravanzerebbe la perdita di gettito per l’Erario. Parole fino ad oggi cadute nel vuoto, nonostante le tante attestazioni di stima del mondo economico e accademico.
Dall’ambito governativo viene un messaggio di speranza: l’inizio della ripresa e la volontà di mettere in campo una stimolazione forte e virtuosa del mercato. In questo contesto continuare a essere considerati un corpo estraneo ai destini collettivi ha i connotati della miopia. In tutti i Paesi avanzati la previdenza resta una delle poche architravi economiche efficienti.
A Bruxelles si discute di spazio unico europeo, di reciprocità di riconoscimento dei titoli, di finanziamento alla formazione e alle start up, anche per i professionisti. Si tratta di un movimento complessivo e inarrestabile: non vorremmo che, ancora una volta, dalla Comunità europea recepissimo solo le notizie negative.
Serve un nuovo patto, per il bene comune. Serve una politica che alzi la testa. In ballo c’è il futuro di una generazione che passa anche da noi.
Andrea Camporese presidente Adepp – Il Sole 24 Ore – 16 ottobre 2013