Il datore di lavoro può controllare se il dipendente è veramente malato anche se non ci sono sospetti gravi sulla veridicità della stessa. Con la sentenza 18507/2016, la Cassazione è intervenuta nuovamente sulla questione del disconoscimento del certificato medico attestante la malattia del lavoratore.
Nel caso specifico, la Corte è stata chiamata a esprimersi in merito alla compatibilità delle condizioni di salute di un lavoratore – assente per una dichiarata patologia di lombosciatalgia acuta – con il regolare svolgimento della prestazione lavorativa. A seguito di accertamenti effettuati dal datore di lavoro, per il tramite di una agenzia investigativa appositamente incaricata, il dipendente è stato sorpreso a eseguire lavori sul tetto e nel cortile della propria abitazione.
A questo proposito, l’articolo 5 della legge 300/1970 da un lato prevede il divieto di compiere verifiche dirette sull’idoneità e sull’infermità per malattia dei dipendenti e, dall’altro, dispone che il controllo delle assenze per malattia può essere effettuato solo attraverso gli istituti pubblici preposti nelle fasce orarie giornaliere prestabilite. Da un punto di vista letterale, la norma sembrerebbe precludere qualsiasi altra forma di accertamento da parte del datore di lavoro.
La Cassazione, tuttavia, già con la sentenza 17113/2016, ha ribadito che le disposizioni dell’articolo 5 non impediscono che le risultanze delle certificazioni mediche prodotte dal lavoratore, e in generale gli accertamenti di carattere sanitario, possano essere oggetto di ulteriori controlli datoriali.
Il superamento del tenore letterale rappresenta la soluzione riconosciuta dalla Corte ai casi, frequenti nella prassi, di ricorso alla cosiddetta malattia “strumentale”. Stando alla sentenza, l’attendibilità della malattia lamentata dal dipendente può essere disattesa dal datore di lavoro «anche solo valorizzando ogni circostanza di fatto – pur non risultante da un accertamento di tipo sanitario – atta a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa».
Punto di discrimine rispetto ai precedenti orientamenti è che non vi sono riferimenti alla sussistenza di “gravi sospetti” come elemento determinante per la legittimità dei controlli. La Cassazione, con la sentenza 18507/2016, sembra aver portato alle estreme conseguenze la precedente decisione (sentenza 17113/2016) in cui ha affermato che, ai fini della validità delle verifiche datoriali, è sufficiente anche solo la «mera ipotesi» che il lavoratore stia compiendo gli illeciti.
È inoltre confermata la facoltà del datore di lavoro di attuare il controllo, anche occulto tramite agente investigativo. Resta altresì fermo il presupposto – ben esplicitato nella sentenza 17113 – secondo cui il controllo deve essere destinato a individuare comportamenti illeciti esulanti la normale attività lavorativa.
Orbene, le risultanze delle investigazioni, qualora legittimamente acquisite, sono tali da privare il certificato medico rilasciato da professionisti convenzionati degli effetti suoi propri. Una conseguenza non di poco conto, se si considera che il certificato medico costituisce atto pubblico assistito da fede privilegiata e, come tale, in generale fa piena prova sino a querela di falso.
Il Sole 24 Ore – 11 ottobre 2016