Il dipendente pubblico assolto nel giudizio penale «perché il fatto non costituisce reato» può essere comunque licenziato per lo stesso fatto dopo la riapertura del procedimento disciplinare. A rendere legittimo il licenziamento è la condotta incompatibile con il proseguimento del rapporto di lavoro, anche se l’azione non ha rilevanza penale. Una volta concluso il procedimento penale, deve quindi essere riaperto il quello disciplinare. Il principio è stato sancito dalla Cassazione nella sentenza 206/2013. La Suprema corte ha chiarito che la Pa deve valutare in maniera autonoma rispetto all’accertamento penale l’idoneità dei fatti contestati a integrare gli estremi della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento.
E, sulla base di elementi scaturenti dalle prove raccolte nel giudizio penale, l’incidenza dei fatti sul rapporto fiduciario.
I giudici hanno precisato che l’interpretazione secondo cui in caso di assoluzione o proscioglimento gli stessi fatti restavano definitivamente sottratti alla valutazione disciplinare non è condivisibile. Solo se l’assoluzione è disposta «perché il fatto non sussiste» o «perché l’imputato non l’ha commesso» è esclusa anche ogni responsabilità disciplinare.
Al contrario, l’assoluzione dovuta alla non rilevanza penale dei fatti contestati, non impedisce la valutazione in sede disciplinare della stessa condotta. In caso contrario, sarebbero pregiudicate le esigenze di buon andamento e imparzialità della Pa: principi che sono stati recepiti anche dal Dlgs 150/2009.
La riforma Brunetta ha previsto che il procedimento disciplinare vada concluso anche in caso di pendenza di procedimento penale, ammettendone la sospensione solo per le infrazioni di maggiore gravità se per la complessità di accertamento mancano elementi sufficienti per proseguire nell’accertamento disciplinare. Solo se il procedimento disciplinare, non sospeso, si concluda con una sanzione, e poi quello penale sia definito con sentenza irrevocabile di assoluzione piena, la Pa potrà riaprire il procedimento disciplinare per modificarne o confermarne l’atto conclusivo in relazione all’esito del giudizio penale.
Il Sole 24 Ore – 21 gennaio 2013