In un’équipe medica ognuno ha le sue colpe. E per questo la responsabilità penale di ciascun componente dell’équipe non può essere affermata in base all’accertamento di un errore diagnostico genericamente attribuito alla équipe nel suo complesso, ma va legata alla valutazione delle mansioni di ciascun componente e va verificato l’operato di ogni singolo membro.
Occorre cioè accertare se e a quali condizioni ciascuno dei componenti dell’equipe, oltre a essere tenuto per la propria parte al rispetto delle regole di cautela delle sue specifiche mansioni, debba essere tenuto anche a farsi carico delle mancanze dell’altro componente dell’equipe o possa viceversa fare affidamento sulla corretta esecuzione dei compiti di altri.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione, sezione quarta penale, con la sentenza 27314/2017 sul ricorso di un chirurgo, condannato per il delitto di omicidio colposo nell’ambito di un intervento nel quale aveva collaborato con altri specialisti. Il medico, infatti, denunciava un’erronea applicazione dei principi in materia da parte della Corte di appello che gli attribuiva, sostanzialmente, un errore commesso da un altro collega.
La Corte ha evidenziato che in casi come questo, il fatto di esser parte di un’equipe di medici non può comportare l’attribuzione di una responsabilità a seguito di un generico errore diagnostico.
In pratica un chirurgo ha eseguito una colecistectomia per via laparoscopica e durante l’intervento si è verificata una lesione dell’aorta, per la quale non si era provveduto a un’idonea sutura: mentre era stata suturata una lesione nella parete anteriore, l’équipe non si era accorta di un’altra lesione nella zona posteriore, che aveva provocato uno shock emorragico irreversibile e la successiva morte del paziente.
Il chirurgo che ha effettuato l’intervento ha patteggiato la pena, ma anche un altro medico che faceva parte dell’equipe con compiti materiali (doveva tenere il divaricatore e l’aspiratore per consentire all’operatore di ispezionare l’addome), era stato coinvolto in nome del principio della responsabilità di equipe e della mancata osservanza dell’onere cautelare di segnalare all’operatore la necessità di provvedere all’esplorazione di tutta la circonferenza del vaso, e di provvedere personalmente, chiedendo al collega di passargli gli speciali occhiali, a eseguire l’osservazione.
I giudici di primo grado avevano condannato anche il secondo medico, ma secondo la Cassazione – pur se ciascun sanitario non può non conoscere e valutare l’attività svolta dal collega, anche se specialista in una certa disciplina, e valutarne la correttezza e/o intervenire per rimediare a eventuali errori – è tuttavia, necessario “delimitare” la responsabilità di vigilanza del lavoro degli altri colleghi: un medico non può lavorare condizionato dalla continua previsione di possibili errori degli altri.
In sostanza, secondo la Cassazione, il principio di responsabilità di posizione è mitigato dal “principio di affidamento” sulla corretta esecuzione dei compiti altrui. Cioè, nel lavoro in equipe, ciascun medico potrà sempre affidarsi al fatto che gli altri agiscano con la diligenza loro richiesta.
“Venendo al caso concreto – conclude la sentenza – un tema di responsabilità di équipe poteva e doveva porsi per la fase di apprezzamento dell’intervenuta lacerazione dell’aorta e per la fase della suturazione dell’aorta. Il secondo operatore in sostanza poteva e doveva apprezzare l’avvenuta emorragia e la necessità di contrastarla con la suturazione, con il recupero delle normali funzioni. Ciò che risulta essere avvenuto. Le modalità di effettuazione della suturazione non possono addebitarsi al P., perché rientranti nel proprium dell’operatore che vi aveva provveduto, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza, specie in settore specialistico, in una sorta di obbligo generalizzato (e di impraticabile realizzazione) di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di addirittura invasione negli spazi della competenza altrui. Si impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso il fatto”.
Quotidiano sanità – 7 giugno 2017