Le aziende ospedaliere sono civilmente responsabili, per i danni da contagio da epatite C e da Hiv, a partire dal momento storico della scoperta del virus dell’epatite B.
Questo perché i nuovi virus hanno un unico antecedente causale, in quanto forme di manifestazione patogene dello stesso evento lesivo di virus veicolati da sangue infetto. E per questo motivo, scrive la Sezione Lavoro della Cassazione nella sentenza 6562/12 (depositata il 27 aprile) la Seconda Università degli studi di Napoli – erede giuridico dell’Azienda ospedaliera universitaria – dovrà risarcire i familiari di un medico odontoiatra, infettatosi proprio per la mancanza di adeguati protocolli di prevenzione all’epoca del contagio.
La vicenda giudiziaria era reduce da due gradi di giudizio nel merito con esiti agli antipodi, considerato che la Corte d’appello, due anni, fa aveva riformato la decisione del tribunale che riconosceva il diritto alla riparazione monetaria degli eredi del libero professionista affetto da epatite C. La questione giuridica era incentrata sulla valutazione dell’antecedente causale: secondo il verdetto d’appello – che negava la colpa dell’ospedale – la responsabilità da omissione (per non aver predisposto efficaci protocolli di prevenzione) può sorgere «ogni volta che il danno può essere prevenuto ed evitato con giudizio ex ante fondato sulla prevedibilità dello stesso», mentre doveva «constatarsi che le tre infezioni da virus di tipo A, B e C costituiscono tre differenti eventi lesivi», ognuno dei quali deve essere ricondotto alla specifica e relativa causa: e poiché all’epoca dell’infezione dell’odontoiatra erano noti solo l’altro agente patogeno «doveva escludersi il nesso causale tra la condotta omissiva dell’Università e l’evento lesivo».
Ma a far saltare l’architettura logica di tale ragionamento c’è la sentenza delle Sezioni Unite 576/2008, che aderiva all’orientamento scientifico secondo cui, per le infezioni in questione, «non sussistono tre eventi lesivi, come si trattasse di tre serie causali autonome ed indipendenti, ma un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica». L’unico nesso causale è pertanto il seguente: trasfusione (o contatto) con il sangue infettivo – contagio infettivo – lesione dell’integrità. Quindi, già a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B sussiste la responsabilità anche per gli altri due contagi, che sono in realtà solo forme di manifestazione patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica.
Tutto ciò impone anche una rivisitazione del nesso causale civilistico rispetto a quello penale (articoli 40 e 41 del Codice), perchè nel primo si applica la regola della «preponderanza dell’evidenza» o del «più probabile che non», rispetto al proverbiale principio dell’«oltre il ragionevole dubbio» che regge la prova penale.
ilsole24ore.com – 1 maggio 2012