La “vita privata” entra a gamba tesa nel rapporto di lavoro. Chi durante un controllo di polizia viene fermato e trovato in possesso di hashish, infatti, rischia di perdere il posto.
E non importa se era in vacanza «in piena estate» in una località di mare (in questo caso della Sardegna) e il controllo delle forze dell’ordine è avvenuto durante la notte, tra sabato e domenica. Il disvalore della condotta è tale da minare il rapporto fiduciario tra l’azienda e il dipendente. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sentenza 6498/2012 (si legga il testo sul sito di Guida al diritto), accogliendo il ricorso di Unicredit Banca contro un proprio funzionario di primo livello che dopo essere stato licenziato e aver perso davanti al tribunale di Nuoro, aveva però vinto in Appello, a Sassari, ed era stato reintegrato allo sportello con tutti gli arretrati.
Per l’Appello il consumo non giustifica l’estinzione del rapporto
Con una sentenza à la page, dunque, la Corte di Appello aveva ritenuto eccessiva la sanzione del licenziamento perché seppure «la detenzione di sostanze stupefacenti non va condivisa», una cosa è l’uso personale e altra lo spaccio. Soltanto quest’ultimo infatti comporterebbe la frequentazione di un ambiente “pericoloso” che «certo può costituire giusta causa del venire meno del rapporto fiduciario», tanto più considerato il tipo di impiego presso un istituto di credito a contatto col pubblico e con il costante maneggio di denaro. Ma, ha affermato la Corte territoriale, l’uso personale della droga integra «una condotta molto meno grave» di cui non si può non tener conto. E quindi ha annullato il licenziamento.
La bocciatura della Cassazione
Una ricostruzione che però non ha convinto la Suprema corte secondo cui le affermazioni dei giudici di Sassari sono «assertive, non fondate su prove» e dunque «non possono essere ricondotte ai canoni giuridici delle massime di esperienza, o dei fatti notori». Non ha convinto più di tanto gli ermellini la differenza fatta dalla Corte di appello tra marjuana e hashish e droghe pesanti quali eroina o crack. Dove le prime non darebbero assuefazione, né indurrebbero una modifica delle personalità. E non solo, il basso costo le renderebbe alla portata di tutti e dunque il consumo non costituirebbero un rischio per l’istituto di credito. Infine anche la riprovazione sociale sarebbe bassa, e quindi il danno d’immagine per l’istituto modesto. E anche se, riconoscono i giudici, per la cocaina andrebbe fatto un discorso diverso, è palese che il bancario non era un consumatore abituale «perché se tale fosse stato non si sarebbe accontentato di merce di qualità così infima e di una così scarsa dose».
Il paragone con l’alcol
Insomma, per i giudici di Appello l’intero episodio «attiene alla sfera rigorosamente privata» e non è più grave di quello «del dipendente che viene trovato nella notte tra sabato e domenica, ubriaco» dopo aver acquistato «una massiccia dose di alcolici». Opposta la presa di posizione della Cassazione che riconduce un fenomeno sociale molto diffuso come quello del fumo delle “canne” nel novero dei comportamenti gravi che, ex articolo 2119 del codice civile, autorizzano il recesso per giusta causa, anche se tenuti fuori dall’azienda.
ilsole24ore.com – 1 maggio 2012