In caso di mobbing, l’avvenuto accertamento del danno alla salute non implica il conseguente e automatico riconoscimento anche di un danno alla professionalità. Lo ha affermato la Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza 172 dell’8 gennaio.
La vicenda esaminata dalla Corte riguarda una dipendente, che subisce provvedimenti disciplinari e trasferimenti e, considerandoli parte di un disegno vessatorio, chiede ai giudici di condannare il datore per mobbing. In appello si vede riconosciuto il risarcimento del danno alla salute da mobbing. La sentenza, però, esclude un danno alla professionalità: date le mansioni amministrative della persona, la forzata inattività causata dal comportamento illegittimo del datore non ha prodotto perdita di opportunità lavorative od obsolescenza. Inoltre, la dipendente non ha fatto nulla per provare quel danno.
La mobbizzata ricorre per Cassazione. In primo luogo, contesta la contraddittorietà della motivazione della sentenza: da un lato, rileva che le circostanze emerse sono utili per dimostrare il danno alla salute; dall’altro lato, esclude un danno alla professionalità per mancata dimostrazione delle circostanze che lo avrebbero determinato. Censura, poi, la sentenza per violazione delle norme su responsabilità civile del datore, su risarcimento del danno alla professionalità e sull’onere della prova. In sostanza, la sua tesi è che il mobbing avrebbe determinato, necessariamente, emarginazione professionale, così rendendo presunto il danno alla professionalità.
Ma la Cassazione respinge il ricorso, affermando che: danno biologico e danno alla professionalità hanno presupposti differenti: il primo concerne il fisico del lavoratore; il secondo la sua professionalità, cioè la sua capacità lavorativa; pertanto non è censurabile, di per sé, una decisione che riconosca il primo tipo di danno, ma non l’altro, il danno alla professionalità va provato in modo specifico, ad esempio dimostrando che il demansionamento abbia rappresentato un ostacolo alla progressione di carriera; la ricorrente, invece, non ha dedotto nulla e ha affermato che quel danno fosse implicito, l’accertamento delle circostanze di fatto non chiarisce il danno subìto: anche in questo senso, il danno alla professionalità richiede la prova, carenti nel caso specifico.
Il Sole 24 Ore – 27 gennaio 2014