Se l’ospedale è carente per strutture e organizzazione il medico non risponde per la morte del paziente. La Corte di cassazione, con la sentenza 46336 depositata ieri, spezza una lancia in favore dei medici che lavorano in strutture inadeguate. Nel caso esaminato il paziente era morto per un’emorrargia interna, causata da un incidente stradale.
L’uomo era stato portato in prima battuta al pronto soccorso ortopedico dove il medico di turno aveva riscontrato una frattura, dirottandolo poi al pronto soccorso generale per i dolori all’addome. Dopo la ricerca vana di un’ambulanza il paziente era stato trasferito in barella: tempo prezioso perso a causa della lunga distanza, e non certo recuperato dall’infermiera del triage che aveva assegnato un codice verde imponendo un’ora di attesa. La Cassazione sottolinea l’irrazionalità della scelta di avere dei pronto soccorso separati. L’ortopedico non aveva, infatti, a disposizione un apparecchio per l’ecografia che avrebbe consentito una diagnosi tempestiva: il tempo utile per salvare il paziente era solo quello trascorso nella prima “tappa”.
Sia l’ortopedico sia il medico in servizio al pronto soccorso generale erano stati condannati in primo grado per omicidio colposo, ma entrambi erano stati assolti in appello, con una decisione che la Cassazione conferma. Nessuna censura per l’ortopedico che aveva fatto quanto in suo potere. Diversa la situazione del medico del pronto soccorso di medicina generale che, essendo l’unico in servizio e impegnato a seguire un altro malato, aveva telefonato al collega per lamentarsi dell’errore di valutazione fatto nel non inviare direttamente in chirurgia la vittima dell’incidente automobilistico, invece di verificare personalmente la gravità della situazione.
Anche nel suo caso, però, scatta l’assoluzione con la formula che il fatto non sussiste. Per la Cassazione l’omissione può essere considerata una negligenza ma non la causa della morte. Questa va, infatti, addebitata all’irrazionale disposizione della struttura, alla carenza di mezzi e all’assenza di linee guida per il trasferimento del paziente. Per la Corte anche in caso di una corretta condotta del medico non c’erano ormai i tempi per operare con successo.
Il Sole 24 Ore – 11 novembre 2014