Secondo la Suprema Corte tutte le pause finalizzate al recupero delle «energie psico-fisiche» giovano al lavoro in quanto dopo la pausa segue un «migliore espletamento del servizio».
Tra le pause lavoro, però, non sono «omologabili alle finalità di ristoro» quelle fatte «per scopi familiari».
La Suprema Corte (sentenza 4509/11) ha bocciato il ricorso di un maresciallo dei carabinieri che, durante l’orario di servizio, si era assentato per un quarto d’ora per andare a parlare con la ex moglie sull’eventuale vendita della casa comune. L’uomo è stato condannato dalla Corte militare d’Appello di Roma a due mesi e venti giorni di reclusione per il reato di violata consegna aggravata.
Il carabiniere si è rivolto alla Cassazione sostenendo da una parte che non c’era stato abbandono dell’itinerario di servizio poichè la residenza della ex moglie rientrava nell’itinerario prescritto dall’ordine di servizio. E che in fondo si era trattato di una pausa assimilabile a quella per un caffè al bar.
La Suprema Corte, invece, ha evidenziato che «la Corte di merito, con motivazione adeguata e coerente, ha ravvisato nella sosta attuata dall’imputato per scopi familiari in un contesto di separazione, una finalità non omologabile a quelle di ristoro e, in genere, di rafforzamento delle proprie energie psico-fisiche utili al migliore espletamento del servizio». Non c’entra «il richiamo difensivo delle soste al bar per un caffè», perchè la pausa per motivi personali è stata «concretamente ostativa al corretto svolgimento dell’attività di vigilanza sul territorio».