Nelle cause di responsabilità medica «il paziente non può limitarsi ad allegare un inadempimento ma deve dedurre l’esistenza di una inadempienza, per così dire, vestita, astrattamente efficiente, cioè, alla produzione del danno». Parola della terza sezione civile della Cassazione (sentenza n. 27855/2013, depositata il 12 dicembre), che richiama al rigore i presunti danneggiati. Il testo della sentenza
Dopo la pronuncia 13533/2001 delle Sezioni Unite – spiegano i Supremi Giudici – la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato che i pazienti, nelle cause di risarcimento, devono allegare il solo inadempimento del sanitario limitandosi a provare l’esistenza del contratto e dell’aggravamento della patologia o dell’insorgenza di una nuova malattia. Resta invece a carico dei medici l’onere di aver tenuto un comportamento diligente.
Ma le Sezioni Unite sono di nuovo intervenute con la sentenza n. 577/2008, precisando che l’inadempimento rilevante «non è qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisca causa o concausa del danno». Di conseguenza, «solo quando lo sforzo probatorio dell’attore consenta di ritenere dimostrato il contratto (o contatto sociale) e l’insorgenza della patologia, con l’allegazione di qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno» scatterà l’onere del medico di dimostrare la sua diligenza e perizia.
Nella fattispecie che ha generato il contenzioso una coppia chiedeva a un ginecologo e a un ospedale il risarcimento dei danni per il grave deficit intellettivo del figlio, invalido al 100% a causa – questa l’accusa – del ritardo con cui era stato disposto il cesareo. In primo grado il tribunale di Caltagirone accoglieva il ricorso ritenendo che, nonostante gli accertamenti disposti non avessero fatto emergere condotte colpose dei medici, le lacune nella cartella clinica facevano desumere che non erano stati attuati tutti i presìdi «idonei a dimostrare che il personale sanitario responsabile avesse affrontato il caso con diligenza e perizia». Nel 2007 la Corte d’appello di Catania nel 2007 ribaltava il verdetto: da nessun elemento poteva dedursi un nesso causale tra l’handicap del bambino e la condotta dei medici e non era stato individuato il comportamento che aveva determinato l’evento. Né la laconicità della cartella clinica poteva ingenerare presunzioni sulla sussistenza di fatti rimasti indeterminati.
La Cassazione promuove questo ragionamento e boccia il ricorso della coppia: i ricorrenti, scrive, «continuano a lamentare la violazione del principio per cui spetta al debitore dimostrare di avere adempiuto» dando per scontata la non addebitabilità delle anomalie del bambino a fattori genetici. Si dolgono inoltre della mancata individuazione, da parte del giudice, della causa naturale del deficit intellettivo senza considerare che «si trattava invece di allegare qualificate inadempienze in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno». Soltanto in questo caso, peraltro, sarebbe stato possibile il ricorso alla prova presuntiva per l’irregolare tenuta della cartella clinica
Il Sole 24 Ore sanità – 15 gennaio 2014