Non c’è obbligo di fornire assistenza al parente malato 24 ore al giorno. Un lavoratore ha ottenuto dall’Inps l’autorizzazione a usufruire del congedo straordinario retribuito in base all’articolo 42, comma 5, del Dlgs 151/2001, per assistere la madre malata e secondo la Cassazione tale permesso è giustificato dalla sola assistenza notturna.
I fatti
Una volta verificato, tramite investigatori privati, che nelle otto giornate oggetto di accertamento il lavoratore durante il giorno non è stato visto nell’abitazione della madre ma presso la propria, la datrice di lavoro ha contestato al dipendente di aver abusato del congedo riconosciutogli, tenendo un comportamento difforme «sia rispetto a quella necessità di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale… nei confronti della persona in condizione di handicap in situazione di gravità, sia in relazione al necessario requisito della convivenza con il soggetto disabile grave, così come invece previsto dalle disposizioni di legge e dall’Inps».
Al termine del procedimento disciplinare, il lavoratore è stato licenziato nonostante si sia giustificato affermando di aver prestato assistenza notturna alla madre, e nonostante risultasse dalla certificazione medica specialistica «che costei aveva tendenza alla fuga, insonnia notturna e tratti di ipersonnia diurna, per cui si poneva la necessità per il figlio di restare sveglio la notte al fine di assistere il genitore insonne ed evitare possibili fughe, già verificatesi in passato».
Decisioni contrastanti
Il licenziamento è stato ritenuto illegittimo sia dal tribunale, che ha ordinato la reintegrazione del lavoratore, sia dalla Corte di appello, che tuttavia ha escluso il diritto alla reintegrazione e ha condannato la datrice di lavoro al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dal quinto comma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
In particolare la Corte territoriale ha ritenuto illegittimo il recesso in quanto il datore di lavoro non è riuscito a provare che l’assistenza da parte del lavoratore alla propria madre non fosse effettivamente prestata durante le ore notturne, alternandosi poi durante il giorno con altre persone, sì da poter fare ritorno alla propria abitazione per riposare. Considerato però che «l’assistenza, per essere adeguata, avrebbe dovuto essere prestata in via principale e privilegiata da parte del lavoratore e solo in via residuale da altre persone», la Corte di appello ha concluso che il fatto addebitato non poteva essere ritenuto insussistente, accordando al posto della reintegrazione la sola tutela indennitaria.
Vale il certificato
Con la pronuncia 29062/2017 depositata ieri, la Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento, ritenendo provata la convivenza e l’assistenza notturna da parte del lavoratore sulla scorta della certificazione medica che dimostrava come la disabile necessitasse di una persona che restasse sveglia di notte.
Quanto, invece, alle conseguenze di tale illegittimità, la Cassazione ha ritenuto che l’addebito disciplinare mosso al lavoratore (ossia non aver prestato alla madre l’assistenza dovuta) fosse da ritenersi insussistente, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria.
Angelo Zambelli – Il Sole 24 Ore – 6 dicembre 2017