di Sergio Rizzo, Corriere della Sera. Il buon Natale agli elettori siciliani l’ha regalato il deputato democratico loro conterraneo Angelo Capodicasa. Con un emendamento ha fatto prorogare per un anno i contratti di settemila precari nei Comuni falliti o sull’orlo del dissesto. «E senza neppure dover attendere il milleproroghe!» ha esultato l’onorevole che fu per una breve stagione, alla fine degli anni Novanta, addirittura presidente della Regione siciliana.
Ma sul fatto che assomigli tanto alla solita grande operazione clientelar-assistenziale c’è poco da esultare. Esattamente come per i 20 milioni elargiti dalla medesima legge di Stabilità ai forestali calabresi. Ancora una volta, come sempre, da tempo immemore. A dimostrazione del fatto che non basta cambiare il nome a una legge perché la legge cambi davvero.
Correva l’anno 2009 e Giulio Tremonti descriveva l’assalto alla diligenza che stava accompagnando la legge di bilancio in parlamento per l’ennesima volta come «un film dell’orrore che non vogliamo più proiettare». Mesi più tardi la finanziaria diventava così «legge di Stabilità». Un provvedimento «totalmente tabellare», ispirato quindi alle sobrie leggi di bilancio britanniche inemendabili, precisava l’ex ministro dell’Economia che vedeva materializzarsi un sogno inseguito dal 2002. Ma che invece continua a rivelarsi, anno dopo anno, un autentico incubo.
La prima finanziaria risale al 1978: sessanta articoli e quattro tabelle. Da allora è stato un crescendo inarrestabile fino ai 1.364 indecifrabili commi della legge di bilancio 2007, la prima del secondo governo Prodi. A nulla sono serviti gli appelli del Colle, da quel messaggio alle Camere trasudante indignazione di Carlo Azeglio Ciampi nel 2004, alle reprimende del suo successore Giorgio Napolitano. E la parolina magica, «stabilità», si è rivelata una illusione assoluta.
Alla faccia della stessa norma grazie alla quale la vecchia finanziaria è diventata cinque anni fa «legge di Stabilità», e secondo cui il provvedimento di bilancio non può contenere disposizioni localistiche o microsettoriali, oggi la seconda «legge di Stabilità» targata Renzi si avvia a salire sul podio delle finanziarie più obese della storia. È entrata infatti in aula alla Camera con 993 commi. Appena dietro i 1.364 della legge di bilancio 2007 e i 1.193 di quella dell’anno seguente. Una creatura mostruosa uscita da quello che ha definito «un suk indecente in commissione bilancio» il capogruppo di Forza Italia Renato Brunetta. Che però deve aver scordato l’indecenza del medesimo suk quando era il suo partito a menare la danza.
La prova che si sapeva fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, del resto, sta tutta in quello che si chiama «fondo per gli interventi strutturali di politica economica»: 150 milioni a disposizione della Camera e altrettanti del Senato per soddisfare le richieste degli onorevoli. Con la presenza di quell’aggettivo, «strutturali», che conferisce amara comicità a questo serbatoio delle marchette parlamentari.
Ecco allora spuntare, accanto a cose che molto hanno fatto discutere come i 500 euro ai diciottenni e i 100 milioni del 2 per mille alle associazioni culturali, anche 9 milioni per il comune di Campione d’Italia: dove la locale casa da gioco in dieci anni ha perso 105 milioni. Perdite, quelle sì, «strutturali». È l’emblema della morale a doppio senso di uno Stato che mentre dice di voler colpire il gioco d’azzardo ripiana le perdite del casinò di proprietà di una società pubblica. Per giunta avendo stabilito che gli enti locali devono cedere le partecipate non coerenti con l’attività istituzionale. E c’è forse qualcosa di meno coerente di un casinò?
Impossibile che in cima all’elenco delle mance impietosamente compilato dal Movimento 5 Stelle non finisse quel finanziamento. Insieme ai 20 milioni per i collegamenti aerei con la Sicilia, ai 15 del Fondo per la montagna, ai 10 del Comitato per le Olimpiadi di Roma 2014, ai 10 per Radio Radicale, ai 5 per la bonifica della Valle del Sacco, allo sconto fiscale sulla compravendita dei calciatori… Per non parlare di briciole ancora più minute contenute in quella lista. Come i soldi per finanziare festival, cori e bande: 3 milioni in tutto. O il milioncino al Club alpino e al Centro ricerca Ebri, i 500 mila euro alla Fondazione Maxxi e all’Istituto Suor Orsola di Benincasa, i 300 mila per la sopravvivenza della società Dante Alighieri, fino ai 70 mila al museo della civiltà istriano-fiumano-dalmata. Interventi, ne siamo sicuri, in qualche caso anche doverosi al di là delle scontate critiche grilline. Ma che con la «legge di Stabilità» c’entrano come i cavoli a merenda.
Il Corriere della Sera – 20 dicembre 2015