Caldo, caldissimo. Da far girare la testa. E non solo. Il caldo portato dall’anticiclone africano Caronte, coi picchi di temperatura che stiamo vivendo in questi giorni, influisce sul nostro stato di salute: peggiora quello di malati cronici e anziani, deteriora la salute psichica dei più fragili e fa soffrire un po’ tutti gli altri. Per questo ogni anno siamo raggiunti da consigli, solo apparentemente superflui, delle autorità sanitarie: ogni anno ministero della Salute, Organizzazione mondiale della sanità, così come la Casa Bianca e gli altri governi, corrono ai ripari per quanto possibile.
L’obiettivo è evitare che si ripeta quanto accaduto nel 2003, quando un’ondata di calore intenso causò in Europa più di settantamila morti più della media, soprattutto in Francia, Germania, Spagna e Italia.
Quei settantamila europei (per gli italiani la stima oscilla tra i quattromila e i diciottomila) erano soprattutto anziani, residenti in solitudine nelle città, afflitti da malattie respiratorie o cardiache, renali o neurologiche, talvolta disabili. Oltre a loro, però, ci sono quelli che sono stati male per i colpi di calore e i conseguenti squilibri degli elettroliti nel sangue: tra loro molti bambini piccoli e piccolissimi, e tanti asmatici.
L’ondata di calore di oggi deve far preoccupare? La letteratura scientifica è concorde: le ondate dagli effetti più gravi sono quelle all’inizio della stagione estiva. E l’aumento della mortalità che può essere loro attribuito cresce anche di 2-5 volte se durano più di cinque giorni. Insomma: con Caronte, e il gran caldo dai primi di luglio, l’allerta deve essere alta, soprattutto verso i più vulnerabili della famiglia.
Ma anche quando Caronte se ne sarà andato, non ci sarà da essere tranquilli. Come spiegano i ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, nei prossimi anni le temperature medie annuali aumenteranno e le estati caldissime saranno sempre più frequenti. Gli studi parlano di aumenti della temperatura media di 3,2 gradi in un secolo, misurate in Italia tra il trentennio 1971 — 2000 e quello 2071 — 2100. E 3,2 gradi non sono pochi: intanto si tratta di una media (quindi ci potranno essere picchi molto più alti), e comunque, se sommati ai 42 gradi registrati a Torino nell’agosto del 2003, fanno 45 gradi abbondanti. Saremo preparati ad affrontarli?
Finora non lo siamo stati: uno studio svedese pubblicato un paio di anni fa su Nature Climate Change , per esempio, ha calcolato che a Stoccolma (dove fa meno caldo che a Roma) tra il 1980 e il 2009 la mortalità da ondate di calore è stata doppia rispetto a quanto sarebbe stata senza l’effetto dei cambiamenti climatici.
Ma l’aumento delle temperature globali — come ammoniva ieri il New York Times — alla lunga significherà anche che potremo trovarci con infezioni che siamo abituati a pensare lontane, per effetto dello spostamento verso nord degli insetti vettori di malattie come la malaria o la chikunguya (che si è già manifestata in Romagna nel 2007 e recentemente anche in Florida). Intanto gli esperti calcolano che la popolazione africana a rischio malaria crescerà di 170 milioni in quindici anni, e lo stesso succederà per la dengue.
Infine, i cambiamenti climatici stanno già portando a un aumento degli eventi estremi, come inondazioni e siccità, con conseguenze gravissime sulla disponibilità di acqua potabile e sull’agricoltura. Presto, cioè, il gran caldo non sarà più solo un problema sanitario, ma anche economico e di sicurezza globale. E saranno soprattutto i più poveri e i più deboli a subirne le conseguenze. A noi oggi il compito di proteggerci dal gran caldo di Caronte e dai suoi rischi immediati. Ma anche quello di pensare a un domani in cui non ci basteranno i condizionatori, e caldo, salute e politica internazionale non saranno affatto distanti.
Repubblica – 19 luglio 2015