Le polizze stanno raggiungendo prezzi proibitivi. Le strutture sanitarie hanno sempre più difficoltà ad assicurarsi. Al momento non c’è alcun obbligo di dotarsi di «copertura»
Ogni paziente riconosciuto vittima di un danno in conseguenza di un trattamento sbagliato, per colpa di un medico e di un altro operatore all’interno di una struttura sanitaria ha il diritto a essere risarcito, nella misura concordata tra le parti o stabilita dal Tribunale. Ogni struttura pubblica o privata (ospedale, Asl o casa di cura) è tenuta a risarcire quel danno, anche se derivante da colpa grave di medici e di altri operatori (salvo poi rivalersi su questi ultimi). Per garantire che il diritto del paziente al risarcimento sia effettivo, la soluzione ritenuta migliore, fino a ieri, è stata quella che la struttura sanitaria si fornisse di una copertura assicurativa. Oggi, però, questo sistema sta mostrando preoccupanti falle, come conferma un recente rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali. Vediamo perché. Innanzitutto, le strutture sanitarie non hanno l’obbligo di stipulare assicurazioni per responsabilità civile nei confronti dei loro assistiti e, comunque, non possono assicurarsi per il danno da colpa grave del medico o di altro operatore sanitario. In effetti, secondo il rapporto della Commissione parlamentare, il 26 per cento delle strutture pubbliche censite, ha ugualmente stipulato polizze di questo tipo, esponendosi però al rischio di procedimento da parte della Corte dei conti. E i singoli medici? I medici liberi professionisti o operanti in strutture private saranno obbligati ad assicurarsi per la responsabilità civile derivante da colpa grave dal prossimo 13 agosto (ai sensi del cosiddetto “Decreto Balduzzi”, 13 settembre 2012 n.158, e legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189). Non lo sono, invece, i medici dipendenti di strutture pubbliche. Dal canto loro, le compagnie assicuratrici non sono obbligate ad assicurare le strutture sanitarie. E sono comunque sempre meno interessate a farlo, perché, dicono, i rischi superano i benefici. Così, fissano premi sempre più elevati, oppure disertano le gare indette dagli ospedali per la scelta della compagnia con cui assicurarsi. II risultato? Nonostante tutto, oltre il 72 per cento delle aziende sanitarie — secondo la ricognizione fatta dall’indagine della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo sanitario — si tutela ancora dal rischio risarcimenti destinando ingenti somme per premi assicurativi sempre più onerosi. Alcune strutture, però, non sono state più in grado di riassicurarsi, mentre altre faticano a trovare compagnie disposte ad assicurarle. E i paziente danneggiato? A parte il rischio di non essere risarcito per mancanza di copertura delle strutture odi riuscire a ottenere (parziale) soddisfazione solo dopo un lungo calvario legale, il cittadino-paziente rischia anche di diventare più temuto che assistito, oppure curato più in funzione delle ansie del medico e delle precauzioni della struttura che per l’obiettività dei propri disturbi, in un clima di sospetto reciproco invece che di fiducia e alleanza. Secondo i dati ricavati dalla Commissione parlamentare d’inchiesta, nel periodo 2006-2011, il premio assicurativo medio pagato dalle aziende sanitarie è aumentato del 35 per cento. I risarcimenti liquidati dalle compagnie, invece, sono diminuiti del 75 per cento come valore complessivo. In pratica, le strutture sanitarie spendono di più e i cittadini ottengono di meno. «Una “forbice”, quella tra i premi assicurativi pagati dalle strutture sanitarie e i risarcimenti liquidati, che si è via via allargata — commenta Antonio Palagiano, presidente della Commissione — perché le assicurazioni liquidano meno ‘volentieri’ e accantonano di più, anche nella previsione che con il passar del tempo i ricorrenti si accontentino di liquidazioni meno onerose». Una delle cause di questa situazione — spiegano all’Ania, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici — risiede nell’aumento del contenzioso medico-legale, che ha raggiunto dimensioni tali da condizionare in maniera rilevante sia i bilanci delle strutture sanitarie, sia la relazione fra medico e paziente: secondo le compagnie di assicurazione (dati del Rapporto Marsh 2012), dal 2010 al 2011 il tasso di rischio clinico (cioè la probabilità che una persona subisca un “danno o disagio” imputabile, anche se in modo involontario, a cure mediche durante un ricovero) è aumentato di circa 1’8%. Di recente si vanno cercando soluzioni alternative al caro-polizze che rischia di lasciare “scoperte” le strutture, i medici, e di conseguenza i pazienti danneggiati: per esempio, quella di un fondo regionale assicurativo, cioè di una copertura assicurativa gestita direttamente dalle Regioni, oppure quella di un’integrazione Regione-ospedali con risarcimenti a carico delle strutture fino ad una certa cifra, oltre la quale “viene in aiuto” la Regione (vedi articolo sotto). «Comunque, al cittadino-paziente che ritiene di
aver subito un danno consiglierei di rivolgersi con serenità agli uffici competenti della struttura sanitaria, per metterli al corrente della propria valutazione dell’esperienza vissuta, — dice l’avvocato Anna D’Andrea, che si occupa di gestione delle problematiche assicurative e del risk management per l’Azienda ospedaliera Niguarda Ca’ Granda di Milano — in modo che la struttura e il personale possano condividere la sua personale percezione degli eventi. Questo contatto può consentire l’avvio di un percorso di chiarimento, lasciando libero il cittadino-paziente di attivare in qualsiasi momento tutte le forme di tutela che riterrà necessarie, qualora non si trovi un punto d’incontro condiviso e laddove ne sussistano i presupposti».
Luciano Benedetti – Corriere della Sera – 25 febbraio 2013