«Seguire un regime alimentare vario, ispirato al modello mediterraneo, evitando l’eccessivo consumo di carne rossa, sia fresca che trasformata», ma anche «prestare particolare attenzione alle modalità di preparazione e cottura degli alimenti, limitando in particolare cotture alla griglia ad alte temperature e fritture». Sono alcune delle raccomandazioni che emergono dal parere richiesto dal ministro della Salute Beatrice Lorenzin al Cnsa (Comitato nazionale per la sicurezza alimentare), immediatamente dopo la pubblicazione su “The Lancet-Oncology” dell’abstract di una monografia dello Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) che mette in relazione il consumo di carni rosse trasformate e fresche con un aumentato rischio di insorgenza di tumori del colon retto. Lo studio sulle carni rosse ha fatto il giro del mondo, destando preoccupazione. E in quei giorni il ministro si è rivolta agli esperti del Comitato, per un approfondimento.
Lorenzin ha ricevuto oggi dalla Sezione competente del Comitato nazionale per la sicurezza alimentare il parere degli esperti sul tema, redatto «al termine di una approfondita istruttoria svoltasi negli ultimi tre mesi». La Sezione del Cnsa ha osservato che «una completa conoscenza del contesto e delle variabili alle quali si riferisce lo Iarc, come pure dei dati a supporto del lavoro pubblicato, sarà possibile solo quando, nel secondo semestre di quest’anno, sarà resa disponibile la versione finale e completa della monografia».
Nel merito scientifico, la Sezione ha ricordato che l’insorgenza dei tumori è un evento derivante «da più fattori di natura individuale, comportamentale e ambientale», tra i quali vanno considerate anche le abitudini alimentari; che l’effetto cancerogeno delle carni è condizionato da abitudini di cottura e trasformazione e che, d’altro canto, la carne costituisce una importante fonte di proteine ad alto valore biologico e di altri nutrienti essenziali per la vita, soprattutto in alcune fasce d’età e condizioni di salute.
Sulla base di tali considerazioni, dunque, gli esperti italiani raccomandano «di seguire costantemente un regime alimentare vario, ispirato al modello mediterraneo». In particolare, si raccomanda una riduzione di grassi e proteine animali e una assunzione costante di cibi ricchi di vitamine e fibre. Un tipo di alimentazione «che possa prevenire anche le malattie cardiovascolari, oltre a quelle tumorali. Nella frutta e nella verdura, infatti, oltre alle fibre, si trovano in misura variabile vitamine e altri componenti essenziali, il cui esame ha un riconosciuto potere protettivo».
E ancora, «di mantenere un peso corporeo corretto durante l’arco della vita e svolgere regolarmente esercizio fisico». «In conclusione – si legge nel parere firmato dal presidente del Cnsa, Giorgio Calabrese – una sana alimentazione associata a uno stile di vita attivo rappresenta uno strumento valido per la prevenzione, la gestione e il trattamento di molte malattie. Un regime dietetico adeguato ed equilibrato non solo garantisce un apporto ottimale di nutrienti, ma permette anche di ricevere sostanze che svolgono un ruolo preventivo o protettivo nei confronti di determinate condizioni patologiche». (Il Sole 24 Ore)
LO STUDIO USA, ASPETTATIVA DI VITA UGUALE TRA VEGETARIANI E CHI CONSUMA CARNE
Un moderato consumo di carne non riduce l’aspettativa di vita generale rispetto a chi segue una dieta vegetariana o vegana. Possono esserci però alcune specifiche patologie (prevalentemente tumorali) la cui l’incidenza può essere maggiore in chi consuma molta carne rispetto a chi ne mangia poca o non ne mangia affatto. Lo dimostra uno studio – condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford coordinati da Timothy J. Key, dell’Unità di epidemiologia del cancro – nel quale sono stati messi a confronto soggetti vegetariani e non vegetariani di un’ampia coorte del Regno Unito, composta da un pool di due grandi studi prospettici di popolazione: l’Oxford vegetarian study (Ovs) e l’Epic-Oxford (European prospective investigation into cancer and nutrition-Oxford). «Si è osservato che i vegetariani e altre persone che non mangiano carne hanno tassi di incidenza inferiori di alcune malattie croniche rispetto a chi non rinuncia alla carne, ma non è chiaro se questo si traduce in una minore mortalità» premettono gli autori.
L’analisi si è focalizzata su abitudini alimentari e stato di salute di 60.310 britannici adulti, inclusi vegetariani, vegani e consumatori di carne negli ultimi 30 anni, considerando il rischio di patologie. Più in dettaglio, la popolazione complessiva era costituita da 18.431 consumatori abituali di carne (in media ?5 volte/settimana), 13.039 consumatori di carne con minore frequenza, 8.516 consumatori di pesce (ma non di carne) e 20.324 vegetariani (di cui 2.228 vegani). La mortalità per gruppo di regime alimentare per ognuna delle 18 più frequenti cause di decesso è stata stimata mediante modelli a rischi proporzionali di Cox. Come accennato non si è rilevata alcuna differenza significativa di mortalità generale (per tutte le cause) tra i gruppi di dieta: gli hazard ratio di consumatori moderati di carne, di pesce e vegetariani rispetto ai consumatori abituali di carne si sono attestati rispettivamente a 0,93, 0,96 e 1,02. Per alcune specifiche patologie ci sono state però differenze significative di rischio nei consumatori abituali di carne, sottolineano Key e collaboratori, in particolare di decesso per malattie circolatorie (più elevato nei consumatori di pesce del 22%), malattie respiratorie (inferiore nei consumatori moderati di carne del 30%), tumori maligni (inferiore nei consumatori di pesce del 18%) – tra i quali il cancro al pancreas (molto inferiore nei consumatori moderati di carne e nei vegetariani, rispettivamente del 45% e del 52%) e i tumori del tessuto linfo-emopoietico (ancora molto inferiore nei vegetariani, del 50%) e tutte le altre cause (inferiore nei consumatori moderati di carne del 26%). La mortalità per tutti i tumori, inoltre, è risultata inferiore del 10% circa in chi non consumava alimenti di origine animale rispetto agli altri gruppi. I dati non si sono modificati sia dopo aggiustamenti statistici per peso (Bmi), genere e abitudine al fumo, sia dopo il confronto della mortalità prima dei 75 anni e a 90 anni. Va peraltro ricordato che lo studio si è basato sulle abitudini alimentari del popolo britannico, dove il consumo di carne è mediamente superiore a quello italiano. (Doctor33)
6 febbraio 2016