Il decreto, naturalmente, c’è. Ma l’etichetta è fantasma. Per poter procedere a un bollino di qualità, infatti, occorrono enti certificatori autorizzati a rilasciare l’etichetta, e soprattutto serve un disciplinare – approvato da una commissione tecnica titolata – che stabilisca i requisiti per la certificazione. E al momento, non ci sono nè gli uni nè l’altro. C’è solo un decreto, che parla di Sistema qualità nazionale zootecnia e di requisiti per la concessione dei contributi europei della nuova Pac in base agli ecoschemi approvati dall’Italia. Per arrivare a un bollino di qualità sulle confezioni di carne made in Italy, insomma, la strada è ancora molto lunga.
«Per quanto riguarda il decreto sul Sistema qualità nazionale zootecnia – spiega Chiara Caprio, responsabile delle relazioni istituzionali di Essere animali – non possiamo che evidenziare un’incongruenza di fondo, che ci sorprende molto considerando il lavoro fatto invece sulla proposta di certificazione Sistema qualità nazionale benessere animale avanzata dal Ministero e già di per sé problematica. Si parla sui media di un disciplinare “allevamenti sostenibili” ed è difficile commentare in assenza di condivisioni ufficiali, ma per quello che emerge non sono chiari i parametri né il processo che dovrebbe portare a questa ennesima certificazione. Lo scopo dovrebbe essere invece quello di una comunicazione comprensibile per i consumatori, ma soprattutto quello di alzare realmente gli standard di benessere animale in Italia, dialogando non solo con tecnici interni al ministero, ma anche con esperti e associazioni che lavorano quotidianamente sul tema in Italia».
Quello della sostenibilità è un tema sempre più sentito dai consumatori. I produttori alimentari lo sanno, e cercano di andare in questa direzione. Per questo nel novembre del 2021 Italia Zootecnica – l’associazione che riunisce la maggior parte delle Op di produttori di carne bovina nel nostro Paese – ha presentato al ministero dell’Agricoltura una richiesta di riconoscimento per un “Disciplinare allevamenti sostenibili”. Nelle intenzioni degli allevatori c’era quella di arrivare a una certificazione di italianità e di qualità da attribuire alle aziende agricole che volontariamente si impegnavano a garantire nelle loro stalle standard superiori a quelli previsti per legge in fatto di alimentazione certificata di qualità degli animali, di assenza di antibiotici, di assenza di parassiti, di clima controllato nelle stalle e di rispetto delle condizioni di lavoro degli addetti. Sui prodotti con queste caratteristiche, si sarebbe dovuto apporre il marchio “Consorzio sigillo italiano”, che esiste già dal 2018 per i prodotti che rispettano i disciplinari riconosciuti dal Mipaaf, con però l’aggiunta “allevamento sostenibile”.
L’obiettivo degli allevatori è quello di aumentare il consumo di carne made in Italy ma anche il suo rendimento, dato che ne viene alzata la qualità. Ad oggi, infatti, solo il 9% della carne bovina prodotta in Italia si fregia della denominazione Igp: la chianina, la marchigiana, la romagnola, la piemontese. Il restante 91% della carne prodotta nel nostro Paese, ricordano dall’Aop Italia Zootecnica, è commercializzata da produttori e macellatori in forma anonima, non ha un brand, e per il consumatore diventa difficile poterla riconoscere. Inoltre, ad oggi importiamo oltre il 48% della carne bovina consumata, in pratica una bistecca su due non è prodotta in Italia.
È indubbio, dunque, che il pressing dei produttori continuerà. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e piena di passaggi.