Durante la riunione con gli Stati membri di venerdì scorso, dove si è discusso sui risultati dei test Ue, la Commissione europea ha annunciato di non essere disponibile a continuare a farsi carico della maggior parte delle spese sostenute per rilevare la presenza di carne di cavallo nei prodotti a base di carne bovina. Il portavoce Frederic Vincent ha dichiarato che la Commissione ritiene improbabile di dover continuare a finanziare il 75% delle spese per i test che costano 400 euro ciascuno. Dato che il 5% dei prodotti testati è risultato essere contaminato con carne di cavallo, gli Stati membri potrebbero decidere di continuare con i test e una possibilità è che sia l’industria alimentare a supportare una parte dei costi necessari.
Di questo avviso è Jeff Rooker, presidente della Food Standards Agency del Regno Unito secondo il quale, dovrebbero essere le aziende i cui prodotti sono stati trovati contaminati a farsi carico dei costi dei test. Ma anche se un prodotto è risultato negativo – ha proseguito Rooker, i test sono stati fatti per esigenze di salute pubblica e di tutela dei consumatori e questo sarebbe già un valido motivo per cui tutte le aziende dovrebbero partecipare ai costi. Tali costi -sostiene il presidente della FSA- andrebbero invece sicuramente addebitati agli operatori nei 14 casi in cui il Fenilbutazone è stato trovato nella carne di cavallo.
Una proposta della Commissione europea è comunque attesa entro la fine della primavera. Il testo definitivo non sarebbe ancora approntato -fa sapere Vincent- e soprattutto non è ancora stato stabilito chi dovrà accollarsi i costi per i test.
Benoit Hamon, Ministro dei consumatori francesi ha proposto sanzioni fino al 10% del fatturato per tutte le società implicate nello scandalo alimentare. Inoltre, ha promesso sanzioni dissuasive volte ad impedire qualsiasi attività commerciale per chiunque venga riconosciuto colpevole di frodi come quella della carne equina.
Nel frattempo, i retailers chiedono un approccio paneuropeo da parte delle autorità nazionali, in modo da potersi meglio ragguagliare a vicenda sui test che stanno portando avanti. Andrew Opie del British Retail Consortium sostiene ad esempio di non sapere ancora perché gli irlandesi stavano testando la carne di cavallo. L’autorità irlandese per la sicurezza alimentare – continua Opie- avrebbe dovuto informare molto prima le altre agenzie nazionali che stava testando la carne di cavallo e soprattutto perché e con quali metodi. Un approccio paneuropeo –conclude- servirebbe anche per condividere le informazioni tra le agenzie nazionali e gli operatori impegnati in test propri.
Horsegate, dopo scandalo più trasparenza su etichetta e origine
Dopo lo scandalo della carne equina rinvenuta in carne di manzo, arriva una proposta forte da Bruxelles. Il Parlamento Europeo ha chiesto di indicare i margini intermedi di formazione del prezzo finale in modo trasparente, consentendo ai consumatori di realizzare immediatamente la natura spesso complessa delle filiere agroalimentari retrostanti.
I cittadini di solito non immaginano nemmeno lontanamente la natura dei profitti intermedi e il numero di attori che spesso lucrano tra produzione agricola e rivenditori finali, specie riguardo ai prodotti preconfezionati. Tra le altre proposte del Parlamento Europeo, una viene da un deputato rumeno: bisogna migliorare la conoscenza ed il flusso di informazioni che provengono dai paesi dai quali si importa carne di cavallo. Ben il 20 per cento della carne equina venduta in Europa, infatti, non disporrebbe di adeguate garanzie sulle informazioni dei medicinali somministrati agli animali.
Sono solo alcune delle opzioni di policy che seguono al dibattito sull’horsegate. Oltre ad un rinforzo delle misure di segnalazione dell’origine delle carni (inclusiva della nascita e allevamento, come da regolamento 1169), altre riguardano le sanzioni. Così ad esempio in Francia si propone di elevare fino ad un 10% del giro di affari il tenore della multa all’operatore commerciale rinvenuto colpevole.
Per altri, andrebbe posta in essere una sospensione indefinita dal commercio. Infine, la armonizzazione delle misure al massimo livello di regolazione possibile – quello europeo – andrebbe auspicata, per avere un terreno comune di azione.
Coldiretti ha chiesto anche la notifica obbligatoria della quantità percentuale della carne come ingrediente anche quando non vantata in denominazione commerciale (ad esempio, “ragù di carne”), uscendo dallo stretto sentiero delle informazioni al consumatore come disposte dalla nuova normativa (reg. 1169/2011). In particolare, riguardo al cosiddetto Quid (Quantità dell’ingrediente da dichiarare), bisogna favorire misure di trasparenza al consumatore, per le quali un semplice ordine decrescente degli ingredienti non è considerato sufficiente.
Intanto, dopo che sono stati pubblicati i risultati dei test Ue sulla presenza di carne equina nei prodotti alimentari a base di carne bovina i consumatori europei chiedono maggiori controlli indipendenti sulle aziende produttrici di alimenti. Secondo la Beuc, la maggiore organizzazione europea dei consumatori, alla luce del recente scandalo alimentare incombe la necessità di maggiori controlli più indipendenti e senza preavviso, che dovrebbero riguardare oltre naturalmente la sicurezza anche la genuinità dei prodotti alimentari.
“Abbiamo bisogno di mandare un messaggio chiaro – continua l’associazione- le indicazioni fuorvianti sui cibi non possono più essere tollerate e a tal fine l’applicazione di sanzione severe appare la misura più adeguata per scoraggiare le aziende a mettere in pratica questo tipo di condotta fraudolenta. Le aziende alimentari devono essere responsabili per gli ingredienti utilizzati nei loro prodotti e l’etichettatura di origine sarebbe il mezzo più idoneo per garantirla. I consumatori vogliono giustamente sapere da dove proviene il cibo che acquistano, pertanto la verifica della correttezza e della veridicità delle informazioni contenute sulle etichette dei prodotti non deve essere ad esclusivo appannaggio delle stesse aziende produttrici”.
Secondo la Beuc i risultati dei test hanno mostrato come alcuni Stati membri (è il caso della Francia) sono stati colpiti più di altri dallo scandalo e avrebbero dimostrato quanto questa frode sia stata diffusa in tutta la Ue. La Vzbv, federazione che raggruppa le principali associazioni dei consumatori tedeschi sostiene che lo scandalo “horsegate” non vada considerato come un caso isolato e sarebbe perciò auspicabile che il quadro giuridico dell’Ue venisse cambiato. E una soluzione -secondo l’organizzazione tedesca- potrebbe venire dal rafforzamento del Food and Veterinary Office (FVO), ma non basta, servirebbero anche l’ampliamento delle indagini in campo penale e l’adozione di sanzioni più severe per i trasgressori.
Fonte: Sicurezza alimentare e il Punto Coldiretti – 24 aprile 2013