Per la Federazione affidare il servizio sanitario pubblico a soggetti privati per colmare la carenza di personale, come sta avvenendo negli ospedali di alcune regioni italiane, come il Veneto, non può essere ritenuto in alcun caso un’alternativa percorribile. “La strada maestra rimane la necessità di rendere l’ospedale pubblico nuovamente attrattivo per i medici italiani” e le soluzioni ci sono.
“Negli ospedali veneti ci sono interi reparti gestiti da cooperative private. Bandi per appalti simili sono stati pubblicati anche nelle Marche. In Liguria lo scenario è equivalente, ma potremmo continuare a trovare esempi analoghi in quasi tutto il Paese. Si tratta di una preoccupante e quantomeno discutibile commistione pubblico-privato causata dalle difficoltà incontrate dal Servizio sanitario ad assumere specialisti. Una ferita della quale il privato si sta approfittando per addentrarsi nella sanità pubblica, e che va assolutamente sanata”.
Così la Federazione Cimo Fesmed che denuncia come “in assenza di professionisti disponibili a lavorare nel Servizio pubblico, per colmare la carenza di personale sempre più Regioni pubblicano gare di appalto rivolte a soggetti privati che quindi introducono negli ospedali medici dipendenti della società privata stessa, e non del Servizio sanitario regionale. Non si conoscono pertanto le condizioni con le quali il privato vincitore dell’appalto assume questi medici, né con quale retribuzione, con quali condizioni contrattuali o tutele. Ma spesso si tratta di medici appena laureati o con specializzazioni diverse rispetto al fabbisogno ospedaliero.
Secondo il governatore del Veneto Luca Zaia, ricorda una nota del sindacato, ricorrere alle cooperative è l’unica alternativa per colmare la carenza di personale. Ma la Federazione Cimo Fesmed ritiene invece che affidare il servizio sanitario pubblico a soggetti privati non possa essere ritenuta in alcun caso un’alternativa percorribile”.
“Le proposte di natura emergenziale e provvisoria per assumere professionisti ci sono: prorogare al 2024 la possibilità di assumere a tempo determinato specializzandi dal terzo anno da stabilizzare una volta concluso il percorso formativo; stabilizzare il personale specializzato assunto nel corso dell’emergenza sanitaria; accelerare le procedure concorsuali; incentivare l’intramoenia. Ma la strada maestra – aggiunge la Cimo Fesmed – rimane la necessità di rendere l’ospedale pubblico nuovamente attrattivo per i medici italiani, che al contrario, come dimostrato da un sondaggio della Federazione pubblicato nei giorni scorsi, colgono al volo ogni opportunità offertagli per fuggire dal Ssn”.
Sono i numeri a dimostrare quanto sia importante l’emorragia di medici dal Ssn: nel 2020 la Corte dei Conti ha calcolato che negli otto anni precedenti oltre 9mila medici hanno lasciato il Paese per lavorare all’estero, soprattutto in Germania, Regno Unito, Svizzera e Francia, dove le retribuzioni sono considerevolmente più alte e le opportunità di carriera decisamente maggiori. Secondo la Cassa previdenziale dei medici Enpam, negli ultimi due anni 4mila medici hanno usufruito della pensione di cumulo, mentre circa 3mila medici hanno aderito a Quota 100. Non è stimabile il numero dei medici che hanno scelto di lasciare la dipendenza per lavorare nelle strutture private, ma quel che è certo è che tra il 2010 ed il 2019, analizzando il Conto Economico delle Regioni, l’unica voce con il segno negativo è quella relativa alla spesa per il personale, che si è ridotta di 1,2 miliardi di euro, il 65% relativo proprio alla spesa per i medici: nello stesso lasso di tempo, infatti, non sono stati sostituiti 5mila medici dipendenti del Ssn.
Nel frattempo, il taglio di 3.465 Unità Complesse (ridotte del 35,8%) e di 8.168 Strutture Semplici (ridotte del 44,1%) ha appiattito in modo importante le possibilità di carriera: oggi solo 6 medici su 100 possono ambire al ruolo di Direttore di struttura complessa (prima dei tagli il rapporto era pari a 9 su 100) e 10 medici su 100 rivestono il ruolo di Responsabili di struttura semplice (il rapporto precedentemente era pari a 16 su 100). Se a tutto questo si sommano le costanti aggressioni e i continui contenziosi con i pazienti, le penalizzazioni fiscali e amministrative che disincentivano il ricorso all’intramoenia (non a caso i medici che la esercitano sono diminuiti del 20%) e la frustrazione per diritti negati e tutele ignorate, non appare di certo biasimabile la scelta dei colleghi che fuggono dal pubblico.
“Senza un nuovo contratto di lavoro e una riforma complessiva dell’organizzazione ospedaliera, presto affidarsi alle cooperative private costituirà veramente l’unica alternativa per trovare medici che lavorino in ospedale – commenta il Presidente della Federazione Guido Quici – e se si tratta di medici non specialisti, la sicurezza delle cure non potrà essere garantita. Un’eventualità drammatica, di cui i cittadini devono essere consapevoli. In ospedale non servono mere sentinelle a guardia dei posti letto, ma medici specializzati e costantemente formati per assicurare la migliore assistenza possibile, riducendo al massimo il rischio clinico. Purtroppo, non è detto che le coop si pongano gli stessi obiettivi”.