Si è occupata di mucca pazza e delle mozzarelle blu. Nei laboratori dell’Izs di Torino Maria Caramelli analizza tutto quello che mettiamo in tavola. I nuovi pericoli? Dagli alimenti di importazione
«Nessuno aveva capito che la malattia della mucca pazza sarebbe diventata un’emergenza sanitaria non solo inglese. Altrimenti a Londra, a studiarla, non sarei stata spedita io, giovane e per di più donna». Era il 1990 e Maria Caramelli iniziò così la sua carriera di veterinaria in un mondo tradizionalmente maschile, occupandosi del primo di una lunga serie di allarmi alimentari, dalle mozzarelle blu ai frutti di bosco con l’epatite A.
Oggi Caramelli dirige l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Torino (unica donna al vertice di uno dei dieci Zooprofilattici): nei suoi laboratori si analizza a campione tutto quello che arriva ai mercati, ai ristoranti, nella borsa della spesa. Perché «il cibo ci nutre, diventa parte di noi, perciò dobbiamo garantire che sia sano. E lo è solo se rispettiamo il suolo, gli animali, l’ambiente» spiega Caramelli che ne parlerà a Torino, il 23 ottobre, al Salone del Gusto-Terra Madre.
Cosa ci ha insegnato la mucca pazza?
Ci ha fatto capire che le malattie non hanno confini e che quelle degli animali ci riguardano eccome: emergenze come Sars, aviaria, Ebola hanno tutte “incubatori” non umani da cui poi “saltano” a noi. In più, con la mucca pazza, per la prima volta abbiamo avuto paura del cibo: quando un alimento va sul banco degli imputati, la metà di chi lo viene a sapere smette di consumarlo. Una mazzata per il mercato. Tanto che i governi spesso cercano di mettere a tacere gli scandali: quello inglese rassicurava i cittadini, pur sapendo che i mangimi esportati in Europa erano infetti. Da questo è nato uno strumento utilissimo per proteggere le nostre scelte: la tracciabilità. Oggi non c’è nulla di più controllato della carne bovina.
Da dove arrivano ora i pericoli?
Dalla lunghezza della catena alimentare: l’Italia importa carne, pesce, latte, mangimi, oltre a prodotti che passano da vari Stati prima di arrivare per l’ultima fase di lavorazione, utile a mettere il bollino “made in Italy”. Non è facile controllare tutti i passaggi, da cui nascono anche le frodi commerciali. Come le lasagne alla carne di cavallo, grazie alle quali però sono migliorate le etichette in tutta Europa.
L’Italia delle eccellenze è a rischio?
Il nostro Paese è uno dei più attenti in materia di sicurezza alimentare. L’export di alimenti è l’unico in crescita ed è un patrimonio che dobbiamo proteggere: contaminare i campi o i mangimi con i rifiuti, come accade nella Terra dei Fuochi, significa distruggere un’altra Pompei.
Come tutelarci nella quotidianità?
È bene stare attenti a certe mode, per esempio quella del cibo crudo: sushi o latte non pastorizzato possono essere pericolosi in chi è più fragile, bambini, donne incinte, anziani. Tutti poi dovrebbero conoscere le regole base per la conservazione degli alimenti. Infine, il fai-da-te può essere un azzardo: con la crisi, tanti sono tornati alle conserve fatte in casa, una tendenza che ha fatto aumentare i casi di botulismo perché non sempre oggi si sa come prepararle a regola d’arte.
Ma gli italiani sono più consapevoli dell’importanza di un cibo sano?
Sì, senza dubbio. Spero che di questa nuova coscienza possa avvantaggiarsi non solo chi ha i mezzi culturali ed economici: l’alimentazione sta diventando un nuovo discrimine fra chi può permettersi prodotti garantiti e chi può acquistare solo quelli low cost, di altrettanto scarsa qualità. Il 70 per cento del personale del suo Istituto è donna: pensiamo di più a ciò che mettiamo nel piatto? Credo di sì. Abbiamo un senso di responsabilità maggiore nei confronti degli altri, siamo brave a fare squadra. La capacità di cura e protezione ce la portiamo dentro, come madri.
Io donna – 29 settembre 2014