Hanno fatto i conti senza l’oste, che nella circostanza ha il profilo vagamente falstaffiano di Leonardo Padrin. Parliamo del progetto di riforma elettorale regionale del capogruppo di Forza Italia, che prevede illimite dei due mandati: chi ha già occupato la poltrona per un decennio (o più) diventa incandidabile al voto di primavera.
Scenario che escluderebbe da palazzo Ferro-Fini quasi la metà degli inquilini attuali, inclusa unaschiera di assessori. Così, i leader del centrodestra – Lega, Forza Italia Veneto, Ncd – hanno concordato in gran segreto un ammorbidimento della riforma: escluso ogni effetto retroattivo, l’attuale legislatura verrebbesottratta dal calcolo dei mandati e la “scure” calerebbe a partire dalle elezioni del 2020… Padrin, come dire, tanto rumore per nulla? «Niente affatto. Io non ci sto. Ho appreso dal vostro giornale, e i bisbigli successivime l’hanno confermato, che i capigruppo vorrebbero rinviare la riforma ai posteri, approvando regole destinate non a noi (uso il nominativo plurale perché proponendo il tetto decennale mi autoescludo) ma ad altri. Mi pare un comportamento farisaico, non lo accetto. È impensabile lasciare tutto com’è, consentendo anche a chi ha completato 4-5 legislature di concorrere di nuovo, alla faccia del rinnovamento». Gli oppositori del suoprogetto affermano che la retroattività è impugnabile sul piano costituzionale e quindi vanificherebbe in partenza la nuova legge elettorale. «Sarebbe facile replicare che il Consiglio regionale ha già approvatoun referendum per staccare il Veneto dall’Italia, senza farsi troppi scrupoli costituzionali. Dico invece: non guardiamo allo strumento legislativo ma all’obiettivo. Se condividiamo la volontà di favorire l’accesso in Consigliodi chi si affaccia per la prima volta alla politica, allora il mezzo lo troveremo». Altre obiezioni: lei sta terremotando la maggioranza infischiandosene della solidarietà tra alleati e usa questa riforma come clavaelettorale… «Non direi. La nuova legge elettorale non rientra nell’accordo di governo, è un obiettivo istituzionale e trasversale. Trovo perfettamente legittimo che si dissenta dalla mia proposta, purché la contrarietà siaespressa alla luce del sole e non trapeli dai complotti di corridoio. Martedì, quando inizierà l’esame in commissione, io chiederò che l’assemblea si pronunci nel merito e se a prevalere sarà il no, ne prenderòrispettosamente atto». Pd e Idv condividono il tetto del doppio mandato. Se nella maggioranza prevalessero i contrari, lei accetterebbe di convergere con l’opposizione per salvare la riforma?«Certamente sì e senza alcun imbarazzo. Stiamo parlando delle regole del gioco non di un punto del programma amministrativo. Gli steccati di partito non valgono». Esiste un punto di mediazione che eviti unpossibile naufragio in aula senza svilire i contenuti innovativi? «Io sono prontissimo a ricercarlo, senza preclusioni, ma sia chiaro: non accetterò che il Consiglio attuale sia immune dalla riforma, sterilizzarequest’ultimo mandato sarebbe un segnale di autoconservazione, io non lo condividerò». Di questi tempi, se le maledizioni dei suoi colleghi traballanti avessero un qualche effetto, lei rischierebbe grosso… «Nesono consapevole. Però da qualche settimana, quando vado a fare la spesa al supermercato, parecchia gente, che non conoscevo prima, mi sprona ad andare avanti. E poi, da cattolico, io non sono superstizioso, gliscongiuri li lascio ad altri».
Il Mattino di Padova – Filippo Tosatto – 23 novembre 2014